Quello che scriviamo (ossìa
ciò che ognuno di noi pensa e poi scrive, in relazione ad un
determinato argomento) è ben difficile che, alla fine, piaccia o
risulti gradito a tutti.
Certo, il quieto e generalizzato assorbimento delle opinioni altrui,
quali che sìano, sarebbe forse auspicabile - se non altro per
mantenere una sorta di “pax
dialettica” in un Mondo che di pace (in generale) ne conosce
davvero poca – ma questo non succede quasi mai, anzi: la regola dice
che spessissimo accade l’esatto contrario (e cioè Tizio dice “A”,
Caio capisce “B” e risponde “C”, Sempronio interviene dicendo “F” e
poi à suivre: battute e
ribattute irruente, colossali malintesi – spesso creati ad arte –
polemiche a gò-gò e così
via, in una escalation rissaiola degna dei peggiori “reality
shows”).
Ma tutto questo è normale: le “opinioni”, infatti – sìano esse
efficaci, autorevoli e sostanziabili oppure poco convincenti, magari
intrinsecamente incoerenti e di spessore leggero –, proprio perché
tali, non hanno comunque e per definizione una valenza generale od
universale.
Le “opinioni”, per definizione, sono “criticabili”.
I “fatti”, invece, questa valenza ce l’hanno. O, almeno, dovrebbero
averla.
Tuttavia la realtà è di gran lunga diversa.
La natura oggettiva dei “fatti”, allorché gli argomenti trattati
sono di per se stessi ambigui ed indefiniti diventa, a sua volta, un
concetto astratto, discutibile e dai margini pallidi ed indistinti.
Anche la Verità, quindi, nell’impossibilità di essere sempre e
totalmente razionali ed obbiettivi (poiché i temi trattati sono
immersi in un autentico Oceanus
Procellarum fatto di informazioni discordanti, di dati
incongrui e di prese di posizione che fluttuano fra l’estrema
rigidità – tipica degli Scienziati Positivi o Positivisti – al
possibilismo senza frontiere – proprio dei Ricercatori Moderati),
diventa del tutto simile ad un’opinione.
E quindi anche l’oggettività diviene criticabile, aggiustabile,
modellabile: essa si trasforma, ad uso e consumo degli operatori e
degli osservatori, in un’immagine dalle forme tanto diverse ed
incoerenti - ed ingannevoli! – quante sono le angolazioni dalle
quali essa può essere vista.
Questa circostanza, a nostro parere, non serve a niente se non a
generare confusione.
Una confusione che, si sa, sostiene e supporta l’opinabilità delle
ragioni umane e degli eventi che le definiscono tanto quanto ne
minimizza la natura e ne avversa la loro (come si diceva)
oggettività e chiarezza.
La confusione, si dice, è amica della Verità quanto il potere e
l’arroganza lo sono della Giustizia…
Ed anche queste considerazioni, in fondo, sono “fatti”. Fatti dei
quali non si può non tener conto.
Ma lo scenario globale è ancora più complesso.
Se gli Scienziati “Positivisti” (o anche detti Convenzionali,
chiamateli come volete) si proteggono (ed un po’ si nascondono…)
dietro mura ciclopiche fatte di “certezze scientifiche indiscusse ed
indiscutibili” – avete mai avuto occasione di parlare con uno
Scienziato Positivista di argomenti non convenzionali? Provateci!…
–, coloro che invece svolgono il lavoro di Privati Ricercatori nel
campo delle Scienze di Confine cercano sempre – almeno di regola –
di essere prudenti e possibilisti nelle dichiarazioni (una necessità
suggerita – ovviamente – dal Buon Senso oltre che da una sorta di
innocua “auto-difesa preventiva”).
Questo vuol dire che quando scriviamo qualcosa il nostro intento
primario va rinvenuto, se non nel tentativo (assolutamente irreale)
di Consegnare una Verità all’Umanità ed accontentare tutti (Lettori
in primis), quanto meno in quello – più sensato ed accettabile – di
esprimere una opinione moderata e logicamente supportata senza, nel
contempo, offendere nessuno.
Diciamo che l’optimum
galleggia nel dire quello che si pensa senza “dispiacere” (troppo)
agli altri, laddove, per
“altri”, si intendono
“altri Ricercatori”, “altri Scienziati”, “altri Scrittori e
Divulgatori” e così via.
Il mantenimento bilanciato di un livello elevato di prudenza da un
lato e di un indice basso di conflittualità interna dall’altro,
infatti, sono elementi assolutamente congeniali allo spirito puro
del nostro Lavoro: la Ricerca della Verità, si dice, non ama (anzi:
diciamo che RESPINGE nettamente!) le “rivelazioni”, le “sparate”, i
“sensazionalismi” e quindi le polemiche, i litigi e, in generale, le
gazzarre.
Tutto quanto abbiamo detto (anzi: scritto) sino ad ora, pensiamo che
sia ragionevolmente innegabile.
Ma è pur vero che, di quando in quando, allorché la confusione
intellettuale diventa troppa ed il “rumore di fondo” insopportabile,
occorre avere la forza, la voglia ed anche il coraggio di dire “NO:
non sono d’accordo!”.
Di quando in quando, per salvare soprattutto la Credibilità del
nostro Lavoro, occorre essere (anche) un po’ polemici e sarcastici,
oltre che pragmatici ed obbiettivi (polemica e sarcasmo sono
essenziali considerato che, di questi tempi, il pragmatismo e
l’obbiettività pagano davvero poco o nulla).
Di quando in quando occorre esprimere (o anche gridare!, se
necessario) il proprio disaccordo.
Di quando in quando bisogna avere il coraggio di dire “NO”!
Il coraggio di non transigere, di non tacere (il silenzio, talvolta,
è una spregevole forma di complicità) e di non essere propriamente
diplomatici.
Se vogliamo salvare la Ricerca Alternativa e “di Frontiera”,
rimanendo Pragmatici ed “open” – e cioè non aprioristicamente chiusi
al ricorso ad ipotesi esotiche per la spiegazione o
l’interpretazione dei fenomeni controversi – e se vogliamo
conservarle una anche minima credibilità, allora la dobbiamo
chiamare con il suo nome e, nel contempo, dobbiamo distinguerla
dalla “speculazione azzardata” e – ahinoi, spesso – motivata da mere
ragioni di visibilità.
Ma procediamo con calma…
Questa diatriba, endemicamente interna alla Comunità dei Ricercatori
“Alternativi”, la quale si rinnova costantemente (come un fuoco solo
apparentemente spento, ma che in realtà è ben vivo e vitale, sebbene
nascosto sotto ceneri tanto grigie, quanto bollenti…) è nata e si
trascina da anni.
E’ nata nel momento stesso in cui, osservando i rilievi di Marte,
come ripresi dalla Sonda NASA
“Viking Orbiter One”, un Ricercatore Americano credette di
vedere, scolpito tra le colline ed i rilievi di un’anonima Regione
Marziana, un volto umanoide il quale, scolpito (dal vento e dalle
intemperie?!?…) sulla sommità di una collina, sembrava fissare le
stelle…
Quella “visione”, in effetti, sancì l’Alba di una nuova modalità di
cercare ed investigare i Misteri dello Spazio; una modalità che,
oggi, è più fonte di sorrisi e malintesi che di “scoperte” vere e
proprie.
E allora, tanto per essere chiari, ripercorriamo un pò la Storia di
questa Neo-Disciplina (che alcuni già definiscono – secondo noi
erroneamente – come “Neo-Scienza”) la quale, oggi, è tanto capace di
affascinare e di avvicinare Donne ed Uomini di tutte le età e di
tutte le estrazioni e competenze, al Cosmo, quanto lo è di
ingannarli, distrarli e confonderli.
Andiamo indietro nel Tempo, a cercare le origini di un controverso
fenomeno para (o pseudo?) scientifico, economico, sociale e
culturale che ha preso il nome di EsoArcheologia…
Archeologia
ed Eso-Archeologia
La parola archeologia, a
differenza di quello che viene studiato a scuola, nella nostra
lingua non è affatto un termine antico.
Se nel greco classico, infatti, troviamo il vocabolo
archaiologhia (da
archaios -> antico, e
loghia -> discorso) il
quale venne usato dallo storico
Tucidide per spiegare gli eventi passati usando prove reali (ossìa
“fisiche”,
“tangibili”,
“immediatamente esaminabili”),
in Europa questa parola la incontriamo per la prima volta negli
Studi Illuministici del IXX Secolo i quali – spinti dal fervore
insito sia nei cosiddetti “circoli culturali”, sia nei Curatori dei
primi importanti Musei – iniziarono a sentire la necessità di
catalogare in una maniera razionale ed analitica i reperti
dell’antichità (o “remnants”).
Naturalmente questa sistematica raccolta era ben lontana dall’essere
affine alla nostra concezione moderna di catalogazione scientifica:
in quell’epoca, infatti – proprio perché gli influssi neoclassici
erano ancora alquanto pregnanti – gli unici
remnants degni di nota
venivano rinvenuti nei manufatti artistici (nelle “opere d’arte”,
insomma) dell’età Greco/Romana (e comunque – attenzione! – lo studio
e l’analisi di questi remnants si concentravano, in ultima analisi,
sul solo rapporto estetico esistente fra essi e quelle che erano
ritenute le – allora – attuali concezioni “significative” di bello e
di non-bello).
Incredibile, vero?
Oggi, se proviamo a pensarci, come non può apparire, se non del
tutto assurda, l’idea di analizzare un’antica opera d’arte allorché
vengano usati soltanto dei criteri squisitamente ed esclusivamente
estetici?
Ai nostri giorni, lo sapete, ciò che importa davvero sono gli
elementi (per definizione) extra-artistici quali, ad esempio, la
datazione, la provenienza, il significato e/o il valore sociale, le
misure o perché no…il valore economico del manufatto, eppure…
Eppure, gli studi che vennero eseguiti qualche secolo or sono furono
comunque idonei a portare alla luce dei particolari importantissimi
di queste opere!
Particolari capaci di dimostrare l’esistenza, negli artisti
dell’antichità, di una sensibilità non solo peculiare, ma anche
densa di fascino e significati.
Già a metà del Secolo XVIII, ad esempio, il
Lessing, nel suo
“Laocoonte”, ci dimostrava
come la sensibilità Classica fosse capace di operare delle sottili
distinzioni concettuali (ergo anche artistiche), a seconda che un
determinato evento storico lo si fosse dovuto rappresentare usando,
ad esempio, la Pittura piuttosto che la Scultura, piuttosto che la
tanto cara Letteratura (prosa o poesia è indifferente).
Ma facciamo un piccolo esempio:
Omero, durante l’intera narrazione dell’Iliade e
dell’Odissea, non descrive mai la bellissima
Elena, sebbene questa donna
fosse la causa principale della feroce guerra narrata nei suoi
immortali canti.
Il Lettore o l’Ascoltatore la conoscono e la riconoscono, nel loro
immaginario, come una donna fantastica, bellissima, “simile ad una
dea”, per dirla appunto come Omero…ma
nessun lettore, studioso od esegeta troverà mai una sua minuta
descrizione nelle parole di Omero.
Mai.
E allora…come abbiamo fatto a “vedere” questa Donna Meravigliosa?
Come abbiamo fatto ad immaginarla e, quindi, a tramandarne
l’immagine se non abbiamo MAI avuto a disposizione un elemento
sufficiente per descriverla?
Ma è evidente: è stata (ed è tutt’ora) la nostra immaginazione a
lavorare e ad integrare le informazioni mancanti!
La vera Bellezza (al pari dell’autentico fascino, della vera paura,
dell’orrore più reale) non sono nelle descrizioni o – peggio! –
nelle immagini!
Tutto il necessario per colpire, far amare (o odiare), far
rabbrividire, gioire ecc. è nella nostra Immaginazione.
E’ in noi.
Il “fuoco” capace di accendere le nostre anime non ha bisogno di
essere attizzato da immagini: basta solo stimolare l’immaginazione -
come anche i primi grandi maestri del cinema, sprovvisti di quelli
che oggi chiamiamo “effetti speciali”, ben avevano compreso – ed il
resto accade di conseguenza.
Attenzione: non dimenticate questa riflessione, poiché Vi tornerà
utile in seguito!
E quindi torniamo a noi ad alla nostra amata
Archeologia…
Nel tempo (non molto, a dire il vero…), il termine
Archeologia cominciò a
staccarsi dalla pura Storia dell’Arte e dal Classicismo inteso come
epoca unica di riferimento.
Esso, rapidamente, assunse un significato assai prossimo a quello di
vero e proprio “scavo”: ossìa il lavoro svolto in una determinata
località per portare alla luce opere ed oggetto (dei manufatti,
insomma) appartenenti ad un’età antica.
Da qui, alla nascita delle varie branchie dell’Archeologia così come
oggi le conosciamo il passo fu breve: dall’Archeologia
Classica, quindi, si dipartirono quella Industriale e quella
Subacquea, ad esempio.
Forme differenti della medesima matrice iniziale; tutte Scienze di
eguale dignità, ben supportate (spesso e volentieri) da studi
paralleli i quali affondavano le loro origini in altre Scienze
quali, ad esempio, la
Paleontologia, la
Paleoantropologia e la
Paleoecologia.
E non dimentichiamo neppure quell’Archeologia
che si esprime attraverso “scavi” volti alla ricerca di fossili –
animali od umani! Un’Archeologia
la quale, per completarsi, si avvale sia di Scienze che studiano i
mutamenti climatici ed ambientali della nostra Terra, sia di altre
Discipline – se volete – più “politiche ed economiche” quali, ad
esempio, l’Epigrafia, la
Numismatica,
l’Etnologia e molto altro
ancora.
E di certo non possiamo dimenticare la
Chimica, la
Geologia, la
Fisica e tante altre
Scienze e Tecnologie ancora più attuali che, nel tempo, sono pure
entrate a far parte, diremmo a buon diritto, del mondo dell’Archeologia
Moderna.
Un’Archeologia che, oggi,
ci riporta ad una tradizione che significa raccogliere reperti,
catalogare i ritrovamenti, scavare in siti storici ed analizzare,
interdisciplinarmente, tutti i risultati ottenuti usando non solo
vari approcci metodologici, ma anche differenti “Scienze di
Supporto”.
Tutto questo – ed anche molto di più - per alfine giungere
all’Archeologia NON SOLO moderna e contemporanea nei significati, ma
anche nelle modalità esplicative.
Ma non è tutto.
Proprio agli inizi del XX Secolo, infatti, nacque anche un’altra
“attività”, nota come “Pseudo-Archeologia”
(o “Archeologia Misteriosa”),
la quale, per esprimersi, volle adottare metodologie
non-convenzionali rispetto a quelle proprie sia dell’Archeologia
Classica, sia dell’Archeologia
Moderna e, alla fine, giunge ad esporre – sulle medesime
tematiche affrontate dall’Archeologia
“Ufficiale” – delle Teorie Esotiche, tanto affascinanti ed
accattivanti quanto, molto spesso, totalmente insostanziate ed
insostanziabili.
Il padre di questa Archeologia fu l’Americano
Charles Fort il quale dedicò
la sua vita a raccogliere articoli ed informazioni su scoperte,
manufatti ed oggetti vari i quali erano/risultavano inspiegabili
mediante il mero ricorso ai processi investigativi (archeologici)
tradizionali, per poi giungere all’ipotesi finale – che è l’ipotesi
di partenza per coloro che si sarebbero mossi sulla strada da lui
tracciata – che tali misteri erano l’evidenza oggettiva di un “intervento
alieno” nella Storia dell’Umanità.
Il fatto che questa Neo (e pseudo) Scienza si sia auto-proclamata
come “Archeologia Misteriosa”
è comunque un fatto strano il quale deve spingerci a riflettere.
“Archeologia Misteriosa”…
Con questa espressione sembra volersi dire, più o meno
esplicitamente, che l’Archeologia
Tradizionale (o Moderna) – e comunque “Ufficiale” – non ha
invero nulla di misterioso, di affascinante e/o di realmente
“nascosto” (e quindi di “investigabile”).
In accordo a questa nomenclatura, è come se l’Archeologia
Ufficiale fosse stata costruita su basi fragili ed
inconsistenti.
E’ come se gli studi fatti in suo nome e sotto la sua ègida fossero
del tutto inconsistenti: vuoti e banali, incapaci di dare delle
risposte, poiché fondati su domande mal formulate o addirittura
errate in nuce.
Che dire?
E’ forse vero tutto questo?
Beh, che la Storia dell’Umanità sia ancora ammantata da innumerevoli
misteri e domande rimaste senza risposta è un fatto; ma che quanto
investigato – sino ad oggi – dall’Archeologia
Tradizionale sia, alla fine ed in buona sostanza, un
gigantesco ammasso di errori e di non-sense…a noi sembra, oltre che
una palese (e provocatoria) esagerazione, anche un falso ideologico
(e storico) bello e buono.
Un falso ancora più grande di quelli che vengono imputati agli
Storici ed agli Archeologi Classici e Moderni da parte dei Fautori e
Sostenitori dell’Archeologia
Misteriosa.
Certo: qui non vogliamo (né possiamo) negare che molti studi
accademici sono stati (e sono ancora) troppo rigidi per essere
realmente “a prova di errore”.
Non possiamo certo negare che, in svariate circostanze, questi Studi
non sono stati (né stanno ancora) “al passo dei tempi” –
l’Egittologia, se volete, è
un esempio noto ed eclatante di questa “localizzata insufficienza”
dell’Archeologia Classica,
anche nella sua veste Moderna.
Non vogliamo certo negare che,
forse, una gran parte della nostra Storia, un domani, potrà essere
riscritta grazie a nuove scoperte e nuove tecnologie, certo…Ma da
qui, a voler vedere PER FORZA l’intervento dei “Little
(o Big?) Green Men” nell’evoluzione della nostra Specie…Ce ne
passa!
Se poi si considera che molti spunti, magari anche interessanti,
suggeriti e poi portati avanti da questa Pseudo-Archeologia sono
stati (e vengono ancora) difesi con la – criticabile, un po’
arrogante e concettualmente scorretta – tecnica espressa nel motto “E’
vero finchè non è dimostrato il contrario”…Ci siamo
spiegati?!?
E procediamo.
Alcuni (nuovi ed interessanti) spunti di ricerca provengono oggi
dalla cosiddetta Archeologia Astronomica la quale, muovendosi tra
immani forzature e qualche notevole studio, sta finalmente mettendo
in risalto il rapporto, sicuramente fortissimo, che le Antiche
Civiltà della Terra avevano con il Cielo ed i suoi…Abitanti (e cioè
i “Corpi Celesti”, così evitiamo spiacevoli malintesi).
Questo modernissimo campo di ricerca, se curato in maniera attenta
ed approfondita, potrà forse essere fonte di interessantissimi studi
e, di conseguenza, anche di meravigliose scoperte.
Forse.
Ma attenzione alle (disumane) forzature ed agli (inumani, ma
commercialmente “gradevoli”…) eccessi…
Come saprete, nell’ambiente dei Ricercatori (Italiani e non) di
quelle che sono note come “Anomalie Spaziali” è ormai nato un
neologismo – il quale risponde al nome di
“Esoarcheologia” - il quale
dovrebbe indicare lo studio di strutture architettoniche e manufatti
di varia natura situati su Corpi Celesti DIVERSI dalla Terra.
Naturalmente questa (per ora) pseudo-ricerca si basa esclusivamente
sullo studio di immagini, ora orbitali, ora non (ma, almeno sino ad
ora, si tratta in larghissima maggioranza di frames orbitali i
quali, per definizione, sono di interpretazione ancora più complessa
rispetto ai frames ottenuti “dalla superficie”), che le varie Sonde
Spaziali ci hanno inviato, ci inviano e che continueranno ad
inviarci dai Mondi che, da qualche anno a questa parte, stiamo
cercando di visitare e di comprendere.
Ora, se da un lato una tale ricerca merita senz’altro attenzione
(poiché, ove portata avanti in maniera lineare e dignitosa, essa può
certo creare motivi di interesse), dall’altro possiamo notarne
subito i limiti: l’Archeologia
Moderna, infatti, ha una tradizione ormai consolidata che non
vuole, ma pretende, per sostanziarsi in maniera adeguata (o almeno
accettabile), l’esistenza di una serie di fattori imprescindibili.
Oggi, certamente, l’Archeologo “Tradizionale” (terrestre, insomma…)
si può avvalere di sofisticati mezzi che sfruttano anche la visuale
aerea per aiutarlo nelle sue ricerche (pensate, ad esempio, alla
ricognizione aerea, alle immagini satellitari, o anche all’uso del
Lidar o delle cosiddette immagini iperspettrali, e cioè capaci non
solo di fotografare il suolo - rimuovendo, tramite sofisticate
elaborazioni, tutti gli ostacoli che si frappongono alla “visione
piena” - ma anche ed addirittura di “vedere oltre”, nella profondità
del suolo!).
Bellissimo, certo, però…
Però - e nonostante tutto -
l’Archeologia, per esprimersi in maniera completa e compiuta,
deve anche avere qualcosa di “concreto” da toccare, da pulire e da
analizzare; essa ha bisogno di luoghi in cui scavare; essa necessita
di “reperti e manufatti”: reperti e manufatti da catalogare,
ripulire, studiare, collocare nei giusti tempi e contesti…
Tutto questo, purtroppo, se parliamo di “Archeologia” nel senso puro
del termine e se andiamo a riferirci, come Ambito Operativo, alla
Luna, o a
Marte, o a
Titano…è oggi ancora un
sogno.
E allora?
E allora questa Esoarcheologia,
basata esclusivamente sull’uso di immagini come campo di indagine –
e per quanto dette immagini possano essere belle e ben definite –
non solo non possiede, per esistere come Scienza (o anche come
Neo-Scienza), i requisiti minimi necessari richiesti dalla
Tradizione Archeologica, ma
non possiede neppure quelle caratteristiche operative e
metodologiche che l’etimologia stessa del termine vorrebbe
evidenziare e mostrare.
In conclusione, se proprio volessimo mantenere il termine
archaios nel nostro (già
abusato, grazie a qualche Autore dell’ultima ora…) neologismo,
sarebbe forse opportuno cambiare la parola in
Esoarcheografia: intendendo
con il termine grafia una
scrittura - una descrizione, appunto, e solo questa - di un
possibile “reperto extraterrestre” il quale viene analizzato e
studiato, OGGI, solo IN VIA REMOTA ed INDIRETTA, e cioè tramite
l’uso esclusivo di fotografie.
Se l’Archeografia, infatti,
è considerata la Scienza che ha come obiettivo la descrizione dei
monumenti dell’antichità, così l’Esoarcheografia,
seppur ancora lontana dal potersi definire come una Scienza vera e
propria, potrebbe comunque considerarsi un nuovo ambito di indagine
avente come obiettivo quello di scoprire, catalogare, analizzare e
descrivere le possibili tracce di effettivi reperti archeologici
situati al di fuori della nostra Terra.
Dove?
Ma dalla Luna…All’Infinito, naturalmente!
E se poi, ancora non sazi di quanto e per quanto sino ad ora detto e
scritto, volessimo aprire un’ultima piccola parentesi sulla nascita
e l’uso di questo termine, potremmo notare una curiosa ed
interessante circostanza, di certo irrisoria (nello scenario
globale), ma sicuramente veritiera e (quasi) allegorica.
Una Laurea in Esoarcheologia,
infatti, è ciò che possono vantare alcuni personaggi (si tratta, ad
esempio, del simbionte Dax,
creatura del Pianeta Trill)
creati per la serie televisiva “Star
Trek - Deep Space Nine”…
Certo la prima reazione davanti a questo fatto può essere un
sorriso, ma ciò che realmente si vuole far notare è come tale
neologismo non sia poi così nuovo: siamo infatti nell’Anno Terrestre
(AD) 1993, Gennaio, o se preferite, nel XXIV Sec. dell’Era
Star-Trek.
Ma il vero lato ironico, se vogliamo restare nell’ambito esplicativo
delle manchevolezze di questo termine, è che in questo panorama di
fantascienza televisiva la definizione di
Esoarcheologia è veramente
corretta: poter viaggiare nell’Universo, magari a velocità di
curvatura e, tra l’altro, avendo a disposizione delle incredibili ed
esotiche super-tecnologie, di sicuro consentirebbe (davvero A
CHIUNQUE!) un accurato studio di reperti.
Ed in caso di dubbi persistenti si potrebbe, con buona pace per l’Esoarcheologo
e per suoi parametri di indagine e studio, andare direttamente in
loco per ulteriori accertamenti; magari, perché no…muovendosi
direttamente con il teletrasporto: “Beam-me
up Scotty!”.
Conclusioni
E allora?
E allora, oggi come oggi, Anno Domini 2007,
l’Esoarcheologia, secondo
noi, è una Disciplina che NON esiste.
E se esiste, esiste solo come “fatto” e NON - comunque - come
Scienza.
Forse lo sarà, un giorno, tra 100 o 1000 anni, ma per adesso non lo
è ancora.
E l’Esoarcheologo? Ebbene
anche costui è una Figura che ancora NON esiste.
Almeno come Professionista.
Forse lo diventerà, un giorno, pure lui tra 100 o 1000 anni, ma per
adesso non lo è ancora (Star-Trek
a parte).
L’idea di studiare ed interpretare i rilievi di un Mondo lontano
(come la Luna, o
Marte oppure ancora più
avanti nelle profondità del Sistema Solare e/o dell’Universo…),
agendo in modalità remota ed usando, fra gli altri,
Archeologi,
Storici e
Semiologi, è non solo
discutibile ed eccentricamente bizzarra, ma equivale, di fatto e per
esempio, a far studiare ed interpretare le eventuali forme di vita
individuate tramite una telecamera posta in un batiscafo immerso
sino al fondo della Fossa delle Marianne ad un Gruppo di Studio
formato da Economisti,
Filosofi ed
Avvocati.
Certo, TUTTI questi personaggi (dal
Semiologo
all’Avvocato) partoriranno,
con ogni probabilità, dei concetti “interessanti e credibili”
ma…basati su che cosa?
Sul generale possesso di una “elevata
cultura di base” (senza contare che occorrerebbe definire un
pò meglio la nozione di “elevata”…)?
Sul fatto che lo Studio, qualsiasi Studio, comunque, “affina
l’intelletto”?
Ebbene, consapevoli che questa nostra posizione non piacerà a molte
persone, noi Vi diciamo che l’unico ed inevitabile risultato che si
ottiene usando questo metodo investigativo è il
Caos.
O forse anche peggio: un Caos ancora più periglioso poiché
travestito – da (Neo) Scienza, da (Pseudo) Cultura e da (Falsa)
Conoscenza -, vischioso, dilatato e,
last but not least, offerto
a buon mercato ad un enorme bacino di utenti i quali, spessissimo,
leggono ed assorbono tutto senza operare, per innumerevoli motivi,
una reale e meditata distinzione tra Realtà e Fantasia e fra
Oggettività e Speculazione.
Un Caos prezzolato ed ingigantito grazie al potere persuasivo dei
media.
Grazie al momentum
impartito a queste “ricerche” da finezze dialettiche le quali, alla
fine, si sostanziano in “erudite” (ma inconsistenti) elucubrazioni
ed in “jargon per adepti”…
Ora è giusto chiedersi: ma è questo quello che vogliamo davvero?
E’ questo ciò di cui hanno bisogno gli Appassionati dello Spazio e
delle Scienze di Frontiera?
E’ questo ciò che aiuta e sostiene l’opera dei Ricercatori
alternativi alla NASA, all’ESA,
al CICAP ed a qualsiasi
altra Istituzione dèdita, per definizione, all’informazione
controllata e purgata o alla pura (e becera!) disinformazione,
controinformazione e banalizzazione?!?
E’ difficile parlare di Caos Informativo (e Disinformativo) senza
fare dei riferimenti concreti e allora, prendiamo un esempio di
Divulgazione “discutibile”.
Tanti Autori, sia stranieri, sia di casa nostra, si slanciano –
agendo ancora sull’inerzia impressa a tutto il
movimento dalla Sfinge di Cydonia
– nella ricerca ed interpretazione di disegni e scritte che,
secondo costoro, sarebbero spennellati un po’ ovunque sul suolo del
Pianeta Rosso.
Disegni e Scritte Marziane…
Disegni e Scritte visibili solo dall’alto (come le
Piste di Nazca) ed
indicativi di giacimenti, di città in rovina, di costruzioni e di
chissà cosa d’altro e di più.
Disegni e Scritte che, al pari della
Sfinge di Cydonia (e, se ci
fermiamo alla Luna, del Monolito
di Tycho – quest’ultimo tratto da “2001
– A Space Odyssey”), dovrebbero essere stati concepiti per
poter essere (da noi terrestri) visti e compresi SOLO quando saremmo
stati maturi ed evoluti abbastanza da poter raggiungere queste
“outlands“, e studiarle.
Un’idea bellissima, come no.
Un’idea magari un pò déjà vu, déjà
écouté, ma sicuramente immaginifica.
Però…
Però, ci domandiamo, se una Civiltà Marziana (per altro “genitrice”
o “parente prossima” della nostra) avesse avuto la lungimiranza di
preparare dei messaggi visibili, a distanza di ere, “solo
dal Cielo” e quindi solo per “Coloro
che sarebbero arrivati dal Cielo” (e cioè, nel caso di
specie, noi terrestri, attraverso gli occhi delle nostre Sonde),
questi messaggi non avrebbero potuto e dovuto esprimersi, ad
esempio, in una forma similare, almeno concettualmente, a quelli
inseriti da noi stessi nelle Sonde
Pioneer 10 e
11 e Voyager 1 e
2?
Messaggi, questi ultimi,
semplici ed inequivocabili: essi, infatti, si limitano a dire che
esiste (o è esistita: dipende, oltre che dal se, anche dal QUANDO
queste Sonde verranno “raccolte” e studiate) una Civiltà in un
“luogo preciso” dell’Universo e che questa Civiltà è (o è stata)
abbastanza evoluta da lasciare qualcosa di sé.
Qualcosa che superasse, in termini di significato intrinseco, la
nozione stessa di Tempo.
E allora, se lo scopo di questi Disegni e Scritte fosse lo stesso
dei messaggi Pioneer e
Voyager, perchè questi “post-it
planetari” sono sempre così malridotti (e dunque inidonei,
per definizione, ad interpretare e servire il loro scopo primario),
ambigui e contorti (nel senso che per un Ricercatore che li vede, ce
ne sono 10000 che, per quanto si sforzino - agendo ovviamente in
Buona Fede! -, non riescono a vedere nulla)?
Ma un autentico Messaggio dal
Valore Universale, come quello trasportato delle Sonde
Pioneer e Voyager, non dovrebbe essere, anche in termini
VISIVI – cioè di
SIGNIFICANTE e quindi non
connessi solamente alla tecnica/scienza interpretativa adottata per
decifrarne l’eventuale SIGNIFICATO)
– UNIVERSALE?!?
O i Messaggi Universali
funzionano solo per gli adepti di una qualche Scienza?
E se così fosse, ma che razza di
Messaggi Universali sarebbero?!?
Ma lasciamo stare Marte e
l’Universo per un istante e pensiamo un po’ alle vicende del nostro
caro e vecchio Pianeta Blu:
che cosa hanno lasciato, come riferimento realmente Universale, le
Antiche Civiltà Terrestri a noi (purtroppo indegni, da svariati
punti di vista) “posteri”?
Tante cose, certo, innumerevoli manufatti che vanno dalle pitture
rupestri alle amigdale e dal vasellame alle collanine. Insomma:
dalle mummie ai gioielli, alle opere d’arte e così via.
Tante “piccole cose” che parlano degli Uomini che le crearono e
delle Civiltà che, a loro volta, forgiarono quegli Uomini, certo…Ma
non solo.
Ci sono anche e soprattutto tante Opere – realmente Immortali – che
fanno riferimento a Dio.
Al Creatore.
Al Cosmo, popolato da Divinità benevole, da Angeli e da Demoni.
Riferimenti che prescindono
dall’Uomo e dalla sua “transitorietà”, dal suo “essere fragile ed
effimero”, e si rivolgono direttamente all’Eterno, all’Immutabile ed
all’Infinito.
Ora, una Civiltà Aliena la quale sia stata capace di raggiungere un
livello di Cultura e Lungimiranza tanto elevato da permettergli di
immaginare il proprio fato (l’estinzione) e che abbia quindi deciso
di lasciare qualcosa di sé alla posterità, che cosa avrebbe deciso
di riservare agli occhi curiosi delle Nuove Creature che, un giorno,
sarebbero arrivate dal Cielo?
Che cosa avrebbero eretto di così imponente ed importante da
meritare di passare, più o meno intatto, attraverso ere su ere (e
forse parliamo di MILIONI e MILIONI - o MILIARDI addirittura - di
ANNI)?
Diremmo un “Segno” che affondasse le sue radici nella Storia e nella
Cultura di questa ipotetica Civiltà.
Un “Simbolo” inequivocabile ed agevole da interpretare per coloro
che, un giorno, sarebbero venuti.
Il Buon Senso, accompagnato da un po’ di Sensibilità e di Logica, ci
suggerisce che questo “Segno”,
per avere un valore realmente universale, si sarebbe dovuto
sostanziare in un’Opera riferibile
a Dio o ad un equivalente
simbolico di Dio (e, per favore, quando si parla di Dio in
questo contesto, cercate di non pensare al Dio descritto dalle
maggiori Religioni della Terra – ergo, di regola, ad un Umanoide
barbuto e dall’aspetto saggio ed austero – ma
tentate di vedere Dio dal punto di
vista di un’Intelligenza realmente evoluta, realmente profonda e
realmente, oltre che idealmente, rivolta alle Stelle).
Pensate quindi ad un Dio “Creatore” di una Civiltà capace di
superare i confini della propria Natura, i limiti della propria
Scienza e gli orizzonti del proprio Mondo di Origine.
Pensate ad un Dio inteso come Universo, si, raggiungibile, ma pur
sempre impossibile da cogliere nella sua interezza.
Immaginate un Dio che NON è Padre di questa ipotetica Civiltà, ma
Sorgente Ispiratrice di Essa.
Immaginate un Dio che sia, nel contempo, “Porzione
Fisica integrante ed Entità Spirituale posta al di sopra ed oltre”
questa Civiltà.
Come rappresentarlo?
Se restiamo nel campo delle Arti Grafiche, diremmo che un disegno od
un monumento sarebbero potuti anche andare bene…
Ma a condizione di essere un Disegno od un Monumento grandissimi,
semplicemente riconoscibili ed eterni (e, almeno da questo punto di
vista se volete, la “Faccia di
Marte” ha un suo senso logico…).
E invece no.
I Disegni e le Scritte di cui tanto si è scritto e si scrive, ci
indicano (rectius: indicherebbero…) le cose più bizzarre e meno
“immediate” che l’immaginazione e le connessioni logiche di un
individuo dotato di media intelligenza potrebbero mai arrivare a
cogliere, anche usando quantitativi ciclopici di immaginazione (gli
esempi di remnants
suggeriti da questi Neo-Ricercatori li trovate dappertutto, dalle
edicole al Web e quindi non sprecheremo tempo per darVi degli esempi
che potete rintracciare Voi stessi con estrema rapidità e
semplicità.
Che dire, in conclusione?
Noi suggeriamo, scusandoci per la nostra povera Ottusità (anche se
ci piace chiamarla “Onestà Intellettuale”), che questi Disegni e
queste Scritte – nei termini in cui sono stati “localizzati” ed
“interpretati” sino ad ora, non esistono.
Non hanno alcun senso logico, né storico, né mistico, né
scientifico.
Non sono nulla, se non sogni e fantasie.
Certo, se escludessimo i fini di visibilità, notorietà e profitto i
quali, forse in parte e forse in toto, hanno ispirato gli Autori di
queste bislacche “scoperte”, l’intento potrebbe anche essere
considerato nobile: dare la luce della Speranza a chi non chiede
nulla se non una ragione per sperare in qualcosa di “ulteriore” (e
trascendente) rispetto allo squallore quotidianamente offertoci
dagli abitanti della nostra Terra nonchè dai loro Usi e Costumi.
Già: un’idea splendida e nobile.
Ma le cose non funzionano così.
Le ragioni che governano il Mercato della Ricerca di Frontiera (al
pari di quello della Scienza – di qualsiasi Scienza, anche
Convenzionale…) sono, ormai, in larghissima misura e percentuale,
ragioni economiche.
Ragioni di business.
Ragioni di quattrino.
Qualche volta, Ragioni di Potere e di Controllo.
E le Ragioni della Verità?
Dove sono andate a finire?
No, quelle non ci sono e non servono.
O meglio: servono, ma solo per dare qualcosa su cui rimuginare alle
minoranze silenziose, e cioè quelle minoranze che, anche quando
strillano come bestie portate al macello, non vengono sentite da
nessuno perché…non fanno audience.
E allora, se questo è lo scenario di riferimento, noi, sebbene con
un certo imbarazzo (frammisto a dispiacere), ma anche con la più
grande fermezza possibile, diciamo
“No”!
Studiare, raccogliere dati, interpretarli e renderli “vivi e
vitali”, mettendoci qualcosa di proprio e di unico (e talvolta anche
di fantasioso, perché no?), va bene; ma allorché i dati raccolti non
vengono più interpretati senza pregiudizi e senza ricorso a logiche
aprioristiche, bensì vengono piegati (ergo distorti) e modellati ad
hoc soltanto per diventare incastri tanto perfetti quanto falsi in
un puzzle creato solo per
stupire…Allora no.
Le Ragioni della Verità, ora
più che mai, devono servire a garantire equilibrio e credibilità a
coloro che lavorano per la diffusione della Conoscenza (in primis) e
quindi per il piacere di investire (e rischiare) tempo e sacrifici
nella Ricerca di Frontiera: non banalizziamole.
Non buttiamole via.
Non pieghiamole a logiche perverse e pervertitrici.
Certo, noi non viviamo sulla Luna e quindi sappiamo pure che le
Ragioni della Verità non sono sufficienti, da sole, per “campare” e
che esse, in fondo, non servono alla Cultura ed alla Scienza
attuali; sappiamo che esse sono essenziali per i Sognatori e sono
care agli illusi, ai nostalgici e, in fondo, agli Intellettualmente
Umili.
Esse non pagano in fama e denaro sonante, si sa, però – lasciatecelo
dire – esse sono le uniche a nutrire lo Spirito Umano con qualcosa
che, oltre ad essere duraturo, non è (in sè) velenoso e deleterio.
E allora, se questo è vero, ancora di più Vi chiediamo di aiutarci a
far si che queste Ragioni ritrovino e quindi conservino SEMPRE la
loro originaria Dignità, senza mai asservirla a ragionamenti di
notorietà o di “cassetta”.
Noi vogliamo credere che le Ragioni
della Verità non finiranno con l’essere solo uno sbiadito
epitaffio, malamente scolpito sulle tombe dei “Poveri
di Spirito” – anche se loro e solo loro, come è stato scritto
da qualche parte usando un
linguaggio semplice, immediato e quindi davvero universale,
vedranno il Regno dei Cieli…
Amen.
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