Traduzione
in italiano della presentazione del Documento PA21-06 di
John Ackerman, avvenuta nel maggio 2004 a Montreal
(Canada) durante il meeting primaverile dell’AGU,
sezione Scienze Planetarie.
Cosmogonia
del Sistema Solare,
da John Ackerman della Fondazione Angiras, maggio
2004
Introduzione:
Il
sistema solare originale era composto soltanto dai pianeti
giganti. Il loro accrescimento durò circa
400 milioni di anni quali corpi solidi e freddi,
ricchi di gas metano e idrogeno, nati da cristalli
ghiacciati che incapsulavano nuclei di polvere. Il gas non
poteva essere catturato come le particelle ghiacciate,
quindi andò perso. Tutte le caratteristiche del pianeti
giganti, includendo anche la temperatura maggiore rispetto
alle previsioni, sono il risultato di ‘recenti’
impatti ad alta energia. I pianeti proto-terrestri hanno
avuto origine dagli impatti sopra menzionati. Il costante
riscaldamento (> 104 K), dovuto alle forze di marea e a
quelle elettromagnetiche, frenarono al perielio la velocità
orbitale dei proto-pianeti che andava così
restringendosi. Nel
frattempo la loro densità aumentava, questo perché gli
elementi leggeri (compresi i gas) emergevano verso
l’esterno, mentre gli elementi pesanti, come il ferro,
precipitavano al centro della massa planetaria. Furono
proprio gli elementi leggeri i costituenti base degli
oceani e delle atmosfere
(riferito
evidentemente a Terra e Marte - .n.d.t)
I
Pianeti Giganti
A
Gottingen nei 1930, Rupert Wildt, grazie alle osservazione
dello spettro di Giove, ipotizzò che la sua atmosfera,
date le evidenti combinazioni di bande, era ricca di
grandi quantità di metano e
ammoniaca. Naturalmente l’osservazione dello
spettro nel visibile va intesa come luce riflessa,
trattandosi di un pianeta. Poiché
queste molecole sono facilmente distrutte dalla radiazione
ultravioletta solare, egli comprese che la sola maniera
fattibile per rimanere integre era grazie all’esistenza
di una spessa atmosfera di idrogeno,che agiva da
convettore e ne manteneva l’equilibrio. Egli
arrivò a dedurre che tutta la gran quantità di idrogeno,
tipica dei pianeti gioviani, nonché la loro bassa densità
media, erano molto simili alla composizione stessa del
Sole Malgrado la
moltitudine di dati ottenuti dalle sonde spaziali e
malgrado le migliaia di documenti scritti sui pianeti
giganti negli ultimi cinquanta anni, quest'ipotesi non ha
subito molti cambiamenti dall’epoca di Wildt Tutt’oggi
si ipotizza che Giove e Saturno siano costituiti da
idrogeno gassoso ad un livello di pressione di pochi
MegaBars, ma al di sotto di questo strato esso diverrebbe
così compresso (si presume come idrogeno molecolare) che
i suoi elettroni potrebbero muoversi liberamente da una
molecola all’altra, rendendo così il gas elettricamente
conduttivo. In pratica una sorta di mantello formato da
idrogeno “metallico”.
Si
suppone che l’estensione di questo mantello parta dalla
superficie fino ad un altrettanto ipotetico nucleo ferroso
roccioso, avente una massa paragonabile a circa 20-30
volte quella della Terra. Grossomodo sarebbe equivalente
al 76% del raggio di Giove e al 50% del raggio di Saturno. La realtà è che le
attuali concezioni sui processi di accrescimento dei
pianeti gassosi sono molto problematiche.
Osservazioni di giovani stelle simili al sole
sembrano indicare che l’idrogeno, contenuto nelle
nebulose solari, viene perso entro pochi milioni di anni,
mentre i dischi di polvere sembrano durare per centinaia
di milioni di anni. Ma,
per catturare il grande ammontare di gas che, così
recuperato, produrrebbe, secondo le supposizioni, i
pianeti giganti, occorrerebbe ancor prima di tutto un
grande nucleo ferroso, roccioso . Questo richiederebbe
tempi assai più lunghi di dieci milioni di anni. Sono
stati prospettati alcuni modelli che incorporano
condizioni intangibili iniziali, onde forzare lo sviluppo
rapido dei due proto-pianeti, nel disperato tentativo di
risolvere il dilemma. (1) Questi sono stati proprio gli
ultimi sforzi per tentare
di salvare una ipotesi fallita.
Il pianeta Giove
Presupponendo
che il pianeta sia sostanzialmente una elementare
concentrazione di componenti come il sole, otterremo che
il suo nucleo roccioso ferroso rappresenta soltanto lo
0,5% circa della massa di Giove, e se gli includessimo
tutti i ghiacci arriveremmo approssimativamente al 3%.
Questa supposizione non è però conforme al grande
ammontare di ammoniaca e metano rilevato nelle alte nubi
dalla sonda spaziale Galileo, nonché dagli effetti
prodotti dagli impatti della cometa Shoemaker-Levi 9. L’equazione
sullo stato di conduttività dell’idrogeno è
sconosciuta, perché nessuno è riuscito a riprodurla in
laboratorio in condizioni normali; oltretutto questa
condizione dell’idrogeno è ancora teorica non essendoci
prove certe della sua esistenza. Benché
si ipotizzi la presenza di un grande nucleo roccioso di
ferro (nel modello attualmente più accettato), il campo
magnetico di Giove viene attribuito ad una specie di
“dinamo” nello strato dell’idrogeno metallico. Allo
stesso modo, nei modelli comunemente accreditati,
gli eccessi di temperatura di Giove, Saturno e
Nettuno sono ritenuti come “la parte finale” del
processo formativo dei pianeti stessi; sostanzialmente uno
strascico di energia primordiale che tuttavia fuggirebbe
tutt’oggi dal loro interno.
L’eccezione
è Urano. Infatti questo pianeta non presenta nessun
eccesso di temperatura; per questa ragione, in
considerazione che anche Urano avrebbe avuto la stessa
origine come gli altri pianeti, l’idea dell’energia
residua, quale fonte degli eccessi di temperatura,
è ben confutabile. La
supposizione di un certo tasso di errori adiabatici
sull’equilibrio idrostatico , implica che lo strato di
idrogeno elettricamente conduttivo entro Giove, come pure
lo strato molecolare, sarebbe liquido. In considerazione
della sufficiente energia convettiva necessaria a partire
dal centro, la temperatura stimata si aggirerebbe intorno
ai 25.000°K. Sfortunatamente,
il modello attuale non identifica specificatamente il
meccanismo da cui l'energia di formazione è rilasciata. Nel
caso di Giove, questo potrebbe essere manifestato
dall’accrescimento del mantello di idrogeno metallico
e/o dal restringersi del pianeta intero, a causa della
grande misura di Giove. Pertanto l'energia emessa
corrisponderebbe ad un restringimento planetario soltanto
di un millimetro all’anno, un cambiamento molto piccolo
per poter essere misurato.
Assumendo
il modello dell’idrogeno, includendo il tasso di errore
adiabatico calcolato ed anche le abbondanze solari sopra
discusse, una dettagliata analisi sulle reazioni chimiche
convettive della troposfera è stata condotta. Questo è
risultato nella predizione dei famosi tre strati di nuvole
di Giove. Ciascuno di
questi è dovuto alla condensazione di una specie diversa
molecolare. Le loro profondità nell'atmosfera sono
misurate relativamente alla 1° linea di livello di
riferimento. (approssimativamente
alla cima delle nuvole visibili). In
ordine decrescente questi sono: ammoniaca a 5 km,
idrosulfide di ammonio a 40 km, ed un denso strato di
nuvole di ghiaccio d’acqua a 65 km. Questi ben definiti
strati di nuvole, costituenti il segno (o la firma) a
prova del modello di idrogeno gassoso su Giove, non sono
stato osservato dalla sonda atmosferica Galileo.
Il pianeta Saturno
Anche
Saturno mostra un eccesso di temperatura, tuttavia la sua
massa è più bassa, Ne consegue che la pressione interna
è minore tanto da rendere abbastanza discutibile la
presenza di uno strato di idrogeno conduttivo, implicando
che può avere un meccanismo diverso per rilasciare la sua
energia primordiale e generare il suo campo magnetico. Anche
il suo dipolo, riferito al campo magnetico, è così in
simmetria con il suo asse che sembra violare il teorema di
Cowling (3); questo principio dichiara che i movimenti dei
fluidi non possono mantenere la simmetria del campo
magnetico con l’asse. Il
nucleo di Saturno viene stimato tra 10 e 30 masse
terrestri e comprende una più grande frazione
dell’intera massa del pianeta. Se tuttavia avesse avuto
una composizione simile a quella solare il nucleo potrebbe
riguardare solo un valore di circa una massa terrestre.
Presumendo che Saturno sia un pianeta gassoso e caldo, la
sua temperatura centrale dovrebbe aggirarsi a circa
10.000-15.000°K
I
pianeti Urano e Nettuno
A
proposito di Urano e Nettuno, la letteratura attuale
riconosce un problema notevole che si potrebbe riassumere
in una semplice domanda: “Che è accaduto al grande
involucro gassoso di questi giganteschi pianeti?” Sostanzialmente
sembrano possedere, analogamente a Giove e Saturno, un
grande nucleo roccioso di ferro, ma con molto meno gas e
ricchi di elementi ghiacciati. E’ stato anche suggerito
che originariamente abbiano posseduto un grande involucro
gassoso, ma che fu spazzato nelle prime fasi di formazione
del sistema solare da una vicina stella in
“incubazione”. Sfortunatamente
non è stata trovata nessuna prova a favore di una “sala
parto stellare”, ne tanto meno di una stella (basti
pensare che Alpha Centauro dista 4,3 anni luce da noi!
n.d.t.). Oltretutto è difficile riuscire a comprendere in
che modo una ipotetica stella potrebbe aver spazzato gli
involucri gassosi di Urano e Nettuno e non di Giove e
Saturno.
Urano
e Nettuno non sono sufficientemente massicci per supporre
l'esistenza di un mantello
di idrogeno conduttivo. La loro mancanza di un massiccio
involucro di idrogeno, ipotizzato invece per Giove e
Saturno, preclude una composizione solare. Questi
pianeti sono attualmente ritenuti composti da un nucleo
roccioso di ferro circondati da ghiaccio che recupera il
carico della loro massa, avvolti entro uno strato
abbastanza profondo di idrogeno molecolare. Questi sono
valutati intorno al 30% del raggio di Urano e al 15% del
raggio di Nettuno. Nettuno
è il più massiccio, 17,26 paragonato a Urano = 14,51
masse terrestri. Le misurazioni dell’influsso di marea
gravitazionale sui satelliti e gli anelli implicano
che Nettuno è meno differenziato di Urano; questo darebbe
da pensare perché esso dista 30 U.A contro le 20 U.A. di
Urano dal sole. Qualcosa
di analogo si riscontra nel sistema gioviano, in cui
Calllisto, il più lontano da Giove rispetto agli altri
satelliti “galileiani”, mostra una minore
differenziazione nel miscuglio tra rocce e ghiaccio
rispetto le altre lune più interne.
Comunque
stando ad osservazioni agli infrarossi risulta che Nettuno
ha una fonte di energia intrinseca 3,61 volte maggiore di
quella che riceve dal sole. Urano invece non ne ha
nessuna; ne consegue che Nettuno è più caldo di Urano. Il
fatto che Urano non possegga nessuna fonte di energia
intrinseca, come mostrata dagli altri tre pianeti giganti,
crea un serio problema circa la presunta origine
primordiale del calore interno di questi pianeti….
I
pianeti terrestri
L’accrescimento
dei pianeti terrestri è attualmente ritenuto che si sia
verificato nel sistema solare interno, approssimativamente
nelle medesime orbite che occupano tutt’ora. Tuttavia
questa supposizione presenta tre grossi problemi. Prima
di tutto non è affatto conosciuto il presunto meccanismo
mediante il quale la polvere, o particelle ghiaiose, si
attaccherebbero insieme per dare inizio al processo di
accrescimento. Le collisioni sarebbero elastiche,
cambiando semplicemente la direzione e le velocità delle
due particelle. Supporre che questo era il presunto
meccanismo da cui i pianeti si potevano formare,
collassando in un proto-pianeta uno alla volta, in che
modo il ferro ed il nichel entro ciascun corpo sarebbero
caduti verso il centro? Come
secondo problema, assumendo un periodo di dieci milioni di
anni circa per l’accrescimento dei pianeti terrestri, i
grandi impatti avrebbero potuto durare anche cento mila
anni, un tempo sufficiente per far raffreddare ed indurire
il proto-pianeta. Inoltre persino i corpi minori,
impattando, avrebbero potuto sufficientemente penetrare il
proto-pianeta fino al presunto nucleo ferroso (in sostanza
l’accrescimento era quasi impossibile da completare fino
a raggiungere le dimensioni attuali dei pianeti terrestri
n.d.t.). Come
terzo problema dobbiamo comprendere questo: in che modo la
Terra, per fare un esempio, sia diventato un pianeta
coperto da oceani di acqua e da una densa atmosfera? Le
attuali teorie presumono che milioni di comete provenienti
dal freddo sistema solare esterno abbiano portato
l’acqua sulla Terra. Sembra proprio che queste idee, un
po’ ingenue, siano il meglio delle ipotesi proposte in
questi ultimi 50 anni.
La Cosmogonia Proposta
I pianeti giganti
formavano l’originale sistema solare
L’accrescimento
del sistema solare originale avvenne a partire da
cristalli di ghiaccio che incapsulavano tutti i componenti
tipici presenti oggi nel sistema solare. Poiché il
ghiaccio era indispensabile per favorire l’accrescimento
delle piccole particelle comprendiamo che tale processo
poteva verificarsi solo entro un raggio minimo di distanza
dal sole compreso dalla distanza di Giove in poi. Il
giovane sole espelleva velocemente, sotto forma di potenti
emissioni, grandi quantità di gas e polveri (il forte
vento solare era tipico n.d.t.). Queste procedevano dal
sistema solare interno verso l’esterno; così, giungendo
alla distanza di Giove, le particelle di polvere
catalizzavano la formazione dei cristalli di ghiaccio di
H2O, NH3 e CH4, catturando perciò molto del gas nella
forma solida. La rimanenza del gas, idrogeno ed elio
principalmente, che non venne incorporata in particelle
solide, fu spazzata via dal sistema solare nel giro di
pochi milioni di anni. Questa veduta è confermata da
studi effettuati su un numero di giovani
stelle simili al sole che mostrerebbero la medesima
espulsione dell’idrogeno dalla nebulosa stellare in
pochi milioni di anni, appena prima che la formazione di
proto-pianeti avrebbe potuto iniziare
Non
tralasciamo di menzionare studi effettuati sugli
infrarossi riguardanti alcune giovani stelle con età
stimate tra i 300 e i 400 milioni di anni che mostravano
dischi di ghiaccio e polvere. E’ un aspetto molto
interessante perché sembra proprio che quelle più
vecchie di 400 milioni di anni non ce l’abbiano più
(5). Anche le osservazioni fatte attraverso il satellite
NASA Submillimeter per l’astronomia (SWAS) mostrerebbero
grandi quantità d’acqua nelle nebulose stellari (quelle
che oggi spesso chiamiamo simpaticamente
“nursary” stellari n.d.t.). Nella
cosmogonia proposta, il sistema solare ha iniziato la sua
esistenza con l'accrescimento di quattro pianeti giganti
di ghiaccio, Giove, Saturno, Urano e Nettuno nelle loro
rispettive orbite attuali. Nessuno dei pianeti terrestri
erano presente. Il più
abbondante di questi ghiacci era l'acqua perché, dopo
l'idrogeno e l'elio, l'ossigeno era l'elemento più
abbondantemente presente del sistema solare; e perché
l’acqua congela a temperatura più elevata. Non ci sono
sufficienti ragioni per credere, come mostrano i modelli
oggi più accettati, che dopo 10-20 milioni di anni dalla
formazione del proto-pianeti giganti, allorché la loro
massa si aggirava intorno a 20-30 masse terrestri, cessava
improvvisamente l’accrescimento di elementi ghiacciati a
favore dell’accumulo di gas, presumibilmente idrogeno,
in realtà perso da lungo tempo.
Personalmente
quindi mantengo il concetto che il sistema solare
originale comprendeva i quattro pianeti giganti, Giove,
Saturno, Urano e Nettuno; tutti sostanzialmente pianeti
ghiacciati solidi, a bassa densità e non prevalentemente
gassosi (di Ackerman in
prima persona n.d.t.).
Il
loro accrescimento iniziale, probabilmente a partire da
concentrazioni localizzate, fu abbastanza rapido, quindi
abbastanza caldo per favorire la formazione di nuclei
ferro-rocciosi dagli elementi intrappolati nei cristalli
di ghiaccio. E’ comunque evidente che l’accumulo di
particelle ghiacciate, considerando il lungo percorso
orbitale e le notevoli dimensioni dei pianeti stessi,
abbia richiesto successivamente molto tempo.
La
maggior parte di questi corpi si “fusero” (non inteso
come fusione termica, ma come divenire parte del pianeta
stesso), man mano che entravano nell’atmosfera dei
proto-pianeti e cadevano probabilmente in modo simile alla
neve.
Fred
Hoyle analizzò l’accrescimento di Giove partendo dallo
stadio primordiale e concluse che impiegò un periodo
approssimativamente di 50 milioni di anni e, presumendo
l'aumento della materia solida, si generò gradualmente un
periodo rotatorio
di un'ora. A causa del lungo tempo implicato
nell’accrescimento, la materia che costituiva il loro
“carico” era fredda. Si tenga conto, ad esempio, del
fatto che l’accrescimento e lo sviluppo degli altri
pianeti giganti avvenne più lentamente, dovuto ai
rispettivi raggi orbitali più grandi. Così
l’accrescimento di Nettuno è conforme con
l'osservazione di stelle simili al sole, i cui dischi
planetari sono svaniti dopo circa 400 milioni di anni. Le
dimensioni dei pianeti giganti sono stato dedotte
dall'ammontare di materiale disponibile ai loro raggi
orbitali. Il grado di differenziazione di ferro, roccia e
ghiaccio era anche una funzione della temperatura ed il
periodo orbitale, e quindi dalla loro distanza dal Sole.
Così la roccia ed i ghiacci su Nettuno sono più
mescolati.
La
ripugnanza attuale di riconoscere la natura solida dei
pianeti giganti sta
in questi fattori:
- le ipotesi; di Rupert
Wildt
- L'occultamento delle
superfici planetarie dovute ai gas (e nubi)
atmosferici stessi
- L'interpretazione
erronea degli eccessi di temperatura
- L’attuale difficoltà
di capire lo stato naturale di alta pressione della
materia, particolarmente l'acqua nella forma gassosa
- Il fallimento della
corretta interpretazione circa le caratteristiche
atmosferiche, dei dati ottenuti dalla sonda spaziale
Galileo, ed i fenomeni prodotti dagli impatti dei
frammenti della cometa Shoemaker-Levi 9.
Tutti
questi elementi invece forniscono abbondanti prove che
Giove è un pianeta solido. Non ho dubbi che Cassini farà
lo stesso per Saturno. Recentemente
gli scienziati planetologi
e geologi hanno
iniziato a riconoscere la vera natura dell’acqua alle
alte pressioni, principalmente come risultato della
scoperta e come risultato dello studio di un tipo di gas
metano idratato anche conosciuto come “clathrates”,
sulla Terra. Infatti, questo
tipo di metano,
trovato in ambienti sotto pressione, come i letti degli
oceani terrestri, viene considerato
essere la fonte naturale di energia più probabile
dalla quale nasce poi il petrolio. Questi gas idratati
sono composti da strutture di molecole d’acqua che si
formano naturalmente a temperature basse e alta pressione
- esattamente le condizioni nei grandi corpi del sistema
solare esterno. Basandosi su proprie ricerche circa i gas
idratati, alcuni scienziati hanno proposto già che questi
rappresentano la forma più comune di materia nei corpi
del sistema solare esterno, come le lune di Giove (galileiane),
Plutone e Caronte nonché il KBOs (6) Comunque, nessuno
ha, fino ad ora, suggerito che i pianeti giganti
potrebbero essere inclusi in questa categoria ed inoltre
che questi abbiano composto l’originale sistema solare.
Solide evidenze
Eccessi
di temperatura
Uno
dei maggiori convincimenti spesso avvallato nei libri di
astronomia è che i rilevanti campi gravitazionali dei
pianeti giganti fungerebbero da protezione nei confronti
dei pianeti terrestri; in tal caso eventuali impatti con
asteroidi e comete verrebbero ridotti creando una specie
di scudo naturale verso gli ultimi stessi. Parecchi
scienziati tuttavia non sembra che abbiano riscontrato
molte prove a favore di tale idea, forse a causa della
longevità delle caratteristiche risultanti, non conforme
alla presunta composizione gassosa dei pianeti giganti.
Gli eccessi di temperatura di Giove, Saturno e Nettuno
potrebbero essere un risultato di tali impatti, i quali
trivellarono profondamente la loro superficie composta da
gas idratati a densità bassa, rilasciando così grandi
volumi di metano, idrogeno e ossigeno. Questi ultimi si
incendiarono e produssero getti sparati nello spazio per
lunghissimi periodi di tempo.
La
Grande Macchia Rossa ed i Venti Multipli Zonali
Un
impatto che ha rilasciato più di 10 ^42 ergs è accaduto
su Giove circa 6.000 anni fa, e sebbene diminuendo
continuamente per sei millenni, è tuttavia responsabile
del suo eccesso di temperatura ed ogni altra
caratteristica osservabile sul pianeta. La sua grande
longevità è descritta da un disegno in un documento
arabo datato intorno 900 A.D. mostrata nell'Illustrazione
1.
|
Figura
1: Disegno che rappresenterebbe presumibilmente un
getto di materia dalla superficie di Giove e che si
estende per oltre 2 diametri del pianeta.
Risalirebbe al 900 A.D.
|
La
Grande Macchia Rossa rappresenta la parte finale (la coda)
di quel grande getto, che tutt’ora inietta dei gas caldi
nell'atmosfera superiore, quella sovrastante gli strati
esterni di nubi. I gas, essendo vaporizzati nel cratere,
comprendono tutti gli elementi originali. Questi però
cristallizzano quando si sollevano attraverso l'atmosfera
che invece è fredda, gonfiandola, caratterizzandone anche
il colore ed oscurandone la superficie. Questo
immenso vorticoso tornado di gas caldi guida i getti
multipli zonali, che hanno permesso di stendere il calore,
a partire dal cratere, come una coperta spessa sopra il
pianeta intero, mascherandone la sua vera fonte.
|
Figura
2. La corrente di vento più intensa verso ovest
coincide con il lato nord della GRS ruotando in
senso antiorario
|
Le
macchie, come la Grande Macchia Rossa (GRS) su Giove, la
Macchia Bianca su Saturno e quelle anche trovato su Urano
e Nettuno, sono il risultato diretto dell'energia residua
presente tutt’oggi, dovuta agli
antichi impatti che hanno formato i vari crateri.
Il GRS ha persistito alla stessa latitudine (23 gradi S)
per tutto il tempo da che è stata osservata
in questi ultimi 350 anni circa. Questo rende assai
improbabile che si tratti semplicemente di una tempesta
planetaria particolarmente potente. I gas emanati dal
cratere, che in realtà sarebbero caldi, risalgono verso
l’alto sulle cime nuvolose riempiendo l’atmosfera che,
essendo a sua volta molto fredda,
nasconde la vera origine calda dei gas originari e
provenienti dal cratere. Quando
il gas caldo risale, l'accelerazione di Coriolis sul
pianeta, impressa dalla elevata rotazione,
genera forti vortici nella colonna dei gas stessi,
aventi rispettivamente una componente orizzontale come
pure una componente verticale. Questo induce delle velocità
opposte nonché vortici all'atmosfera dal suo nord al suo
sud, dando origine alle cinture di vento primarie.
Ed è
così che vengono impresse le velocità opposte ed i
vortici alle zone distali dal loro nord al loro sud,
creando il sistema intero di zone e cinture, quello che in
pratica appare quando osserviamo Giove. In tal modo,
l’osservazione entro Giove dei venti e della GRS sono i
responsabili dello scenario qui proposto. I
modelli correntemente accettati, che si basano sull’idea
di enormi corpi gassosi praticamente non solidi, non sono
in grado di concepire getti multipli zonali (cinture e
zone) a causa del fatto che viene presupposto nessun
limite dovuto ad una superficie solida sotto l’atmosfera
Non appena tale superficie è introdotta, i getti zonali
multipli appaiono. La nozione data da un ipotetico
mantello di idrogeno metallico, che dovrebbe giustificare
quanto appena spiegato, contraddice il requisito secondo
cui esso sarebbe un liquido convettivo stimato ad una
profondità di circa 37.000 km.
|
Figura
3. la deriva della GRS osservata dal 1910 al 1932
traccia una evidenza della decelerazione di Giove.
|
L'asimmetria
latitudinaria dei venti zonali sommati con la forte
corrente che punta a ovest in senso antiorario sul margine
nord della è la prova ulteriore che il sistema intero è
guidato dai gas caldi emessi dal cratere di impatto. Se la
fonte di energia fosse primordiale, come viene comunemente
accettato, non dovrebbe esistere nessuna
particolare asimmetria. La deriva della GRS relativo a un
periodo di rotazione presunto costante di Giove, è citato
di solito come la prova che è semplicemente una grande
tempesta su un pianeta gassoso. Nell'Illustrazione 3 si
nota una graduale declinazione ad ovest fino al 1932. Così
questo rappresenterebbe la fine di un periodo di
decelerazione della rotazione di Giove durato 6000 anni,
dovuta alla massa (in altre parole il momento angolare)
espulsa dall’enorme getto situato sul cratere da impatto. Se il calcolo di Hoyle,
che presupponeva una primitiva rotazione di 1 ora circa,
fosse corretto, allora l’espulsione di massa durante
questi millenni avrebbe gradualmente portato la rotazione
approssimativamente a 10 ore.
Gli
anelli
|
Figura
4. Un “recente” impatto provocò un’esplosione
d’acqua dalla superfice verso lo spazio dalla
quale si originarono gli anelli.
(foto
Cassini NASA)
|
Molti
scienziati credono apparentemente che gli anelli planetari
siano di origine primordiali, ma questa nozione è in
conflitto con altri teorici, i quali sostengono che tali
sistemi si dissiperebbero in alcune centinaia di milioni
di anni. La domanda sorge naturalmente perché, se gli
anelli fossero primordiali,
come fanno ad esistere tutt’ora? Basti pensare agli
anelli di Saturno che sono molto consistenti! La
spiegazione attualmente accettata è che come le
particelle sono perse, vengono rimpiazzate da nuovi
frammentati piccoli satelliti cosparsi entro i sistemi di
anelli. Nel modello qui
proposto un ‘recente’ impatto ad alta emissione di
energia si verificò su Saturno. Tale impatto provocò
l’espulsione di una grande quantità d'acqua dalla
superficie verso lo spazio. Questo è conforme con la
composizione dei gas a base di idrogeno, poiché sono
principalmente formati di molecole di acqua. Il
materiale che non ha avuto la velocità sufficiente per
superare il limite di Roche ha formato il suo bel sistema
di anelli, come si nota nell'Illustrazione 4. Uno getto
antico e prolungato nel tempo può avere contribuito ad
alimentare con altra acqua il sistema di anelli.
Analogamente potrebbe essere accaduto in modo simile negli
altri pianeti giganti.
La Sonda Atmosferica
Galileo
Questa
sonda aveva lo scopo primario di confermare l'esistenza
dei famosi tre strati di nuvole predetti dal modello di
equilibrio di condensazione in un'atmosfera di calore
convettivo. Il fatto che nessuno di questi strati di
nuvole è mai stato trovato contraddice l'ipotesi della
“gigantesca massa di gas”. Inizialmente, il fallimento
nel non trovare gli strati di nuvole, è stato attribuito
alla nozione che la sonda fosse entrata in una zona
non-tipica in cui l'atmosfera discendeva invece di salire. Comunque, la
sospensione fu rapidamente negata allorché la sonda
Cassini aveva portato le prime immagini di Giove,
mostrando che la zona di entrata era un’area formata da
aria che risaliva, in cui gli strati di nuvole avrebbero
dovuto essere presenti. La
sonda aveva individuato una inaspettata densità
atmosferica e temperatura superiori al previsto. Ha
rivelato anche dei venti a grandi profondità spiegabili
da un differente influsso di quello solare. Inoltre,
l'asimmetria latitudinaria dei getti locali raffredda
entrambe le spiegazioni generalmente accettate,
solari e primordiali. Nel modello proposto tutti questi
fenomeni sono guidati dalla colonna di gas caldi emanando
dal vecchio cratere da impatto risalente a 6.000 anni fa,
manifestato dalla GRS fino alla cima delle nubi. Lo
spettrometro della sonda ha trovato una notevole quantità
inferiore del previsto di elio, neon, acqua, carbonio,
ossigeno e zolfo. Gli ultimi quattro sono in conflitto
diretto con il loro grande ammontare osservati negli
avvenimenti principali inerenti gli impatti della cometa
Shoemaker-Levi 9. Questo è perché tali elementi sono
congelati entro il corpo del pianeta. I gas primordiali
nobili vennero esauriti quando furono emessi nello grande
getto.
La cometa Shoemaker-Levi 9
Le
osservazioni dei singoli impatti della S-L 9 hanno
chiarificato come i frammenti più massicci producevano
fenomeni ben più differenziati rispetto gli altri. Resta
evidente che questi frammenti hanno penetrato l'atmosfera
di Giove e hanno impattato sulla superficie gassosa
idratata solida
|
Figura
5. L’onda d’urto provocata dal frammento G sulla
superficie di Giove.
|
Il
luogo di impatto del frammento G
è mostrato nell’illustrazione 5 con tutta
l’estensione dell’onda d’urto. Il tempo di ritardo
poteva variare dai 6 ai 10 minuti nella sequenza di eventi
principali, tempo richiesto per la formazione della tipica
“nuvola a fungo” dal momento dell’impatto nella
superficie. Sono apparsi sopra la cima delle nuvole come
dei pennacchi, che hanno saturato i rivelatori infrarossi
per ore e rimasero visibili per settimane. L’argomentazione
che questi pennacchi fossero dovuti alla ricaduta delle
molecole consumate del bolide è indebolita
dall'inaspettatamente alta densità di quell’area,
misurata sopra le cime delle nubi dalla sonda atmosferica,
che avrebbe riscaldato gli atomi/molecole del bolide,
precludendo il loro libero percorso di caduta. L'alta
densità dell'atmosfera sopra le cime delle nubi è stata
rinforzata dai lampi luminosi emessi dal singoli frammenti
nel momento che entravano nell’atmosfera, divenendo così
bolidi incandescenti. Le onde d’urto dei grandi
frammenti erano emanate all’atto dell’impatto sulla
superficie, che hanno rilasciato anche grandi quantità di
ossigeno, zolfo, carbonio, acqua e
metano, nonché un numero di elementi pesanti
osservati nei pennacchi. Le grandi quantità di metano
nelle atmosfere dei pianeti giganti sono più che
plausibili, poiché il metano è la molecola più comune
trovata entro le strutture di vari gas a base di idrogeno.
L'atmosfera
di Giove non è primordiale. Comprende una miscela di gas
primordiali nonché tutta la specie di molecole fino ad
oggi espulse da 6000 anni entro il vecchio cratere da
impatto. I gas nobili sono stati esauriti perché alcuni
di essi, presenti nella primordiale atmosfera, vennero
sparati dal grande getto e portato nello spazio. La
minor quantità d’acqua che la sonda Galileo ha
misurato, e che invece ci si aspettava in maggior
presenza, era dovuta al fatto che tale elemento si è
congelata sotto forma di ghiaccio e neve sulla superficie
del pianeta. Le misure apparentemente contraddittorie di
grandi quantità di ossigeno sprigionato dagli impatti dei
più massicci frammenti della S-L 9 sono dovute al
rilascio verso l’alto del gas, a partire dai crateri ed
evidenti dalle nuvole a fungo risultanti. Il più grande
rapporto di D/H atteso è conforme col modello qui
proposto, poiché il ghiaccio da cui i gas caldi sono
espulsi si dovrebbe essere arricchito di deuterio relativo
all'idrogeno nell'atmosfera primordiale. Così molte
caratteristiche di Giove possono essere spiegate dagli
impatti dei loro corpi solidi.
L'origine dei Pianeti
Terrestri
La
composizione a base di gas idrati dei pianeti giganti è
un aspetto indispensabile per comprendere la formazione
dei pianeti terrestri. I
pianeti giganti sono paragonabili a delle enormi bombe
naturali, che potrebbero venire spazzati via. Talvolta
possono verificarsi enormi esplosioni localizzate, in
risposta agli impatti ad alta energia, causando il
rimbalzo di un massiccio ammontare di materiale dal
cratere nello spazio interplanetario. Sembrerebbe che
negli antichi miti, soprattutto quelli Rig Veda, il
processo intero sia stato in qualche modo registrato in un
inno che descrive, in ordine di tempo di un migliaio di
strofe, l’inizio con un impatto su Giove avvenuto circa
6.000 anni fa. Tale evento viene associato alla nascita di
Aditi. Quest'avvenimento
ha segnato la nascita di un nuovo pianeta terrestre,
proto-Venere. L'impatto, forse di un viaggiatore
galattico, ha rilasciato su Giove un totale di circa10^43
ergs negli ultimi sei millenni, ma l'energia rilasciata
inizialmente sull'impatto era probabilmente leggermente
inferiore.
Un
notevole ammontare dell'energia totale prodotta era dovuta
alla reazione del metano nel cratere di impatto. Una
nuvola ardente di plasma, corrispondente a molte volte la
massa di Venere e al volume di Giove, rimbalzò nello
spazio interplanetario. L'effetto immediato dell'impatto
avrebbe causato disordini notevoli sulla Terra, che sono
stati registrati da molte culture antiche. Questi erano
dovuti per esempio alla perturbazione gravitazionale o al
passaggio ravvicinato del corpo vicino alla Terra mentre
si dirigeva verso Giove. La maggior parte del materiale
espulso nella nuvola di plasma sfuggì dall’attrazione
di Giove ed entrò in un'orbita eccentrica intorno il
Sole. La proto-massa si
contrasse rapidamente dalla sua potenziale energia
gravitazionale dando origine ad un oggetto simile ad una
piccola stella, proto-Venere, avente una temperatura ben
oltre i 10.000 °K. La restante materia rimase entro il
campo di Giove originando le lune galileiane, i piccoli
satelliti e, molto probabilmente, la cintura di asteroidi
principale. Il perielio di proto-Venere era probabilmente
più vicino al Sole rispetto l'orbita antica di
precedente-Marte, che era in un'orbita simile a quella
attuale di Venere.
Il suo afelio
corrispondente alla caratteristica di un
pianeta terrestre.
Sebbene
gli atomi volatili leggeri, furono inizialmente persi
nello spazio, rimasero nel sistema solare interno. Forse, successivamente furono ricatturati da Venere
più raffreddato e probabilmente anche dalla Terra entro
le loro atmosfere, cadendo come tenui fiocchi di neve.
Questo processo potrebbe essere più interessante nel
tentativo di spiegare come si poterono formare atmosfere
ed oceani rispetto alle attuali teorie che presuppongono
la caduta di milioni di comete. Questo
processo spiega anche come ferro e nichel sono
immediatamente concentrati nel nucleo, e come elementi
radioattivi e caldi come il torio e l'uranio ed elementi
come il potassio emergono verso l’esterno, assieme agli
elementi meno densi che formano le rocce di superficie.
Spiega anche il grande ammontare di calore nell'interno
dei pianeti terrestri. Questo
descritto corrisponde al processo di formazione di tutti i
pianeti terrestri. Un aspetto speciale ed interessante di
questo modello è che ogni pianeta terrestre ha un'età
unica, diversa dagli altri. Inoltre tutti questi corpi
rocciosi sono più giovane dei pianeti giganti. Facendo un
confronto sulla più vecchia meteorite marziana paragonato
con le più vecchie rocce trovate sulla Terra, Marte è
circa 800 milioni di anni più vecchio della Terra, e
Venere avrebbe soltanto 6.000 anni!
Alcuni
aspetti di questa esposizione saranno approfonditi in
altre sezioni di PianetaMarte.net.
Per
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potete esaminare l'originale inglese. Scaricatelo
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