Un alto contributo segnalatoci dal Dr. Paolo C.
Fienga di Lunar Explorer Italia. Questo articolo è tratto dal sito
www.diodati.org
ed affronta la teoria tricromatica della visione. Si tratta di una
serie di aspetti meritevoli di essere accessibili a chiunque; lo scopo
è quello di mettere i lettori in condizioni di trarre le corrette
conclusioni in modo semplice e logico, sopratutto quando parliamo di
immagini in "true colors" o quasi.
Da quanto detto finora
risulta evidente che ogni singolo colore percepito può essere sia
l'effetto di una radiazione monocromatica
(ad esempio un'onda a banda ristretta di 700 nm in grado di generare
la visione del rosso) sia l'effetto del sommarsi in un'unica
stimolazione di più radiazioni, ciascuna di lunghezza d'onda
differente. Questa osservazione porta in primo piano un'importante
caratteristica della percezione visiva, che la rende profondamente
differente, ad esempio, dalla percezione uditiva. Mentre, infatti,
l'orecchio è in grado di discriminare, in un accordo musicale, le
singole note componenti, l'occhio non è in grado di separare, in una
stimolazione luminosa composta dalla mescolanza di più luci diverse,
le singole frequenze componenti.
La percezione visiva è sintetica
piuttosto che analitica: una luce rossa ed una luce verde che
colpiscono insieme un medesimo punto della retina avranno come
risultato la percezione del giallo; non vedremo né il rosso né il
verde.
Ciò significa che, nel contatto della
radiazione elettromagnetica con i recettori della retina, l'informazione
sulla lunghezza d'onda si perde. Al suo posto rimane la
misura dell'eccitazione suscitata, che è proporzionale sia
all'intensità della luce incidente sia alla sensibilità del
recettore in quella particolare zona dello spettro a cui appartiene la
radiazione che lo ha colpito.
Possiamo chiederci a questo punto: basterebbe un
solo tipo di coni per spiegare la possibilità innata nella nostra
vista di discriminare nella luce, allo stesso tempo, intensità e
colori differenti?
La risposta a questa domanda è no.
Per capire il perché occorre considerare il grafico in fig.6.
La curva mostrata nel grafico rappresenta il differente grado di
sensibilità di un unico ipotetico tipo di recettori fotosensibili,
rispetto a luci monocromatiche di differente lunghezza d'onda.
Nell'esempio, la radiazione monocromatica A1 ha una
lunghezza d'onda corrispondente quasi alla massima sensibilità del
recettore. L'effetto sul sistema percettivo si traduce in un valore 75
(puramente indicativo) di stimolazione, corrispondente alla visione di
un certo colore avente una data intensità luminosa. La radiazione
monocromatica A2 ha la medesima intensità della radiazione
A1, ma ha una lunghezza d'onda differente, alla quale il
recettore risulta tre volte meno sensibile, per cui l'effetto è una
stimolazione tre volte meno intensa.
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Due radiazioni monocromatiche di
differente lunghezza d'onda
in un sistema dotato di un unico tipo di recettori |
Ora è dimostrato che in un sistema di questo
tipo, in cui l'informazione sulla lunghezza d'onda si perde, lasciando
in sua vece la percezione dell'intensità dello stimolo, è possibile
eguagliare l'intensità della percezione dipendente dalla radiazione A2
all'intensità della percezione dipendente dalla radiazione A1
aumentando di tre volte l'intensità della radiazione A2.
Ciò significherebbe, però, che la percezione visiva suscitata da A1
sarebbe del tutto uguale, indistinguibile da quella suscitata da A2,
ovvero non ci sarebbe più discriminazione del colore,
dal momento che vedremmo come uguali due radiazioni monocromatiche
dotate invece di differente lunghezza d'onda.
In realtà questo è ciò che accade,
all'incirca, nella visione scotopica dipendente dai soli bastoncelli:
di tali recettori esiste infatti un solo tipo, che non è in grado,
per i motivi appena descritti, di conservare l'informazione sulle
differenze di lunghezza d'onda ma solo quella relativa alle variazioni
di intensità luminosa.
Per avere allo stesso tempo discriminazione
dell'intensità luminosa e del colore abbiamo bisogno di almeno due
tipi differenti di recettori sensibili al colore. Con due tipi di
recettori diventa possibile, ad esempio, eguagliare la percezione
visiva dipendente da una singola radiazione monocromatica alla
percezione visiva dipendente dalla miscela di due radiazioni
monocromatiche di differente lunghezza d'onda.
Al principio dell''800 il fisico inglese Thomas
Young propose una teoria della visione in cui si sosteneva la
presenza di tre differenti tipi di recettori, ognuno dei quali in
grado di percepire un particolare colore: dalla combinazione delle
sensazioni provenienti da ciascuno di essi, risulterebbe la percezione
dei colori nello spettro visibile. Nella sua ipotesi iniziale, Young
indicò come colori primari - cioè quelli alla base
di ogni possibile combinazione - il rosso, il giallo e il blu.
Successivamente modificò la sua teoria indicando come primari il rosso,
il verde e il violetto.
Le tesi di Young furono riprese circa mezzo
secolo dopo dal tedesco austriaco Hermann von Helmholtz.
Da allora la cosiddetta teoria tricromatica della
visione, basata cioè sull'azione combinata di tre diversi tipi di
recettori fotosensibili, è nota anche come teoria di
Young-Helmoltz.
Si dovette aspettare ancora, però, circa un
secolo, per avere – grazie alle rilevazioni effettuate nel 1964 con
sofisticate tecniche di microspettrofotometria - la conferma
sperimentale dell'esistenza di questi tre diversi tipi di
recettori e delle loro specifiche sensibilità nei confronti della
lunghezza d'onda della radiazione elettromagnetica. Il diagramma in fig.
7 illustra appunto le curve di sensibilità dei tre tipi di
coni sperimentalmente individuati.
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Curve di assorbimento della luce da parte
dei tre tipi di coni sperimentalmente individuati
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Le differenti posizioni, rispetto alla lunghezza
d'onda, dei picchi di assorbimento della luce da parte dei tre tipi di
coni dipende dalle differenti caratteristiche del pigmento – la
iodopsina – in essi contenuto.
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I coni-S (in inglese S-cone,
ovvero short-wavelength sensitive cone) hanno il loro
picco di assorbimento intorno ai 437 nm; la loro massima
sensibilità è per il colore blu-violetto; il
pigmento in essi contenuto è detto cianolabile.
Il fatto che la loro curva di assorbimento sia molto più bassa di
quella degli altri due tipi di coni dipende dal ridotto numero di
coni-S presenti nella retina: costituiscono meno del 10% del
totale complessivo e sono quasi del tutto assenti dalla fovea, che
è la parte della retina più sensibile alla visione del colore.
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I coni-M (in inglese M-cone:
middle-wavelength sensitive) hanno il loro picco di
assorbimento intorno ai 533 nm; sono sensibili principalmente al colore
verde; il pigmento in essi contenuto è detto clorolabile.
- I coni-L (L-cone:
long-wavelength sensitive) hanno il loro picco di
assorbimento intorno ai 564 nm; sono sensibili principalmente
nella gamma dei rossi; il pigmento in essi
contenuto è detto eritrolabile.
Dato un simile modello tricromatico di
percezione dei colori, la visione, ad esempio, del colore giallo è
l'effetto di una situazione in cui i coni-M (sensibili al verde) ed i
coni-L (sensibili al rosso) sono massimamente stimolati, mentre
l'eccitazione dei coni-S (sensibili al blu) è del tutto trascurabile.
La visione del bianco si ha, invece, quanto tutti e tre i tipi di coni
risultano massimamente stimolati.
Chi ha qualche esperienza dei modelli di
rappresentazione del colore su computer avrà già capito che la
teoria tricromatica della visione è l'antecedente fisiologico
del modello di colore RGB.
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