© 2004 - 2011 Pianeta Marte.net - All right reserved 12 OTTOBRE 2008 (CON AGGIORNAMENTI AL 2011) Ancora una volta diamo la parola alla Missione NASA della sonda Phoenix. Dal nostro punto di vista a Vastitas Borealis stanno venendo alla luce alcune "verità" fondamentali di Marte che difficilmente potranno essere messe nel cassetto, o fatte passare in background, senza attrarre l'attenzione di coloro che seguono l'esplorazione marziana con acume e perspicacia. Intanto abbiamo preferito - come sempre nostra consuetudine - lasciare che i Mass Media dessero sfogo alla loro "corsa alla notizia" così da poter prendere parola ad acque calme. Dunque su Marte nevicherebbe? Certamente si tratta di un fatto estremamente interessante, ma non così clamoroso come molti credono. Per chi segue l'esplorazione del "Pianeta Rosso" da lunga data ricorderà -  solo per citare un esempio altrettanto "clamoroso" - quella famosa immagine della Viking 2, peraltro strausata allo scopo di sostenere di tutto e di più, nella quale si può ben constatare la presenza di una rilevante coltre di (sembrerebbe) ghiaccio nel terreno. Rivediamone tre versioni: fotogramma vl2_p21873 fotogramma normal_ZE-I-Viking2-frost fotogramma ZE-I-Viking2-Morning-frost I fotogrammi originali risalgono al 1976, quindi stiamo parlando di ben 32 anni fa (l'articolo che stiamo leggendo è stato scritto nel 2008). La sostanza bianca ricoprente il terreno era stata catalogata come ghiaccio/neve di CO2, ma tale asserzione ha sempre incontrato una certa opposizione da parte di numerosi Ricercatori Indipendenti, alcuni scienziati e comuni cittadini appassionati dell'esplorazione marziana. Su Marte (in linea teorica) l'anidride carbonica dovrebbe ghiacciare qualora la temperatura raggiungesse valori intorno ai -125 °C con pressione atmosferica compresa mediamente entro gli 8 millibar. Osservando il grafico comparativo noterete come la temperatura di solidificazione del CO2 diminuisce ulteriormente al calare della pressione. La conclusione è abbastanza palese: poiché il sito d'atterraggio di Viking 2 era situato a 44° Nord di latitudine nella regione di Utopia Planitia, le probabilità che la sostanza visibile nei fotogrammi fosse stata neve di CO2 non erano molte e questo perchè a latitudini intermedie le temperature (a parità di pressione atmosferica) non dovrebbero scendere agli stessi valori delle regioni polari, almeno in linea di principio. L'alternativa rimane una sola: ghiaccio d'acqua oppure, se preferite, neve. C'è poi da considerare un ulteriore aspetto a proposito delle precipitazioni nevose di Marte. Chi conosce la letteratura scientifica e divulgativa incentrata sul "Pianeta Rosso" sa bene che gli scienziati hanno da sempre tenuto conto della possibilità che in determinate condizioni climatologiche si avrebbero potuto verificare nevicate, ma non d'acqua bensì di CO2 e, oltretutto, nelle regioni circumpolari. Pertanto, la questione delle nevicate marziane non è di per se clamorosa: semmai va sottolineato che non se n'è mai osservate in modo più o meno diretto. L'AVEVAMO PREVISTA! - Sull'effettiva possibilità di assistere alla prima nevicata extraterrestre bisogna ammettere che non ci eravamo risparmiati di prevederlo con larghissimo anticipo: l'8 giugno 2008 avevamo scritto: "Se la Phoenix avrà la buona sorte di vivere a lungo probabilmente assisteremo "in diretta spazio-visione" - e per la prima volta dalla superficie - ad una nevicata extraterrestre; dovremo attendere il prossimo inverno nell'emisfero settentrionale." La nostra incertezza verteva tuttavia sulla natura della nevicata. Perchè? Perchè ci eravamo attenuti, per sommario atteggiamento pragmatico, all'idea che l'atmosfera marziana, essendo sostanzialmente composta da CO2, doveva produrre a quelle latitudini nevicate di anidride carbonica. Invece è accaduto qualcosa di straordinario: la nevicata c'è stata, non di CO2 ma di acqua! Straordinario è comunque una parola grossa in quanto un sospetto sulla verità ce l'avevamo, tant'è vero che avevamo scritto: "Ma, siccome il CO2 ha modalità di congelamento-sublimazione diversi dall'acqua sappiamo già che ne arriverà in grande abbondanza al momento giusto. Nel caso però la neve di CO2 non cadesse allora vorrà dire molte cose che preferiamo lasciare intuire a ciascun Lettore.... " Cosa starebbe ad indicare tutto ciò: che ne sappiamo più degli scienziati impegnati per la riuscita della Missione Phoenix? No di certo! Significa però che non siamo nemmeno tanto mal indirizzati nel nostro quadro generale sulle condizioni presenti e passate di Marte. Il fatto è che, mentre nei mesi scorsi ci si è concentrati sugli scavi al suolo e sul materiale che ne veniva fuori, noi avevamo visto oltre puntando ad un target diverso sin dall'inizio, questo grazie al nostro modo di interpretare tutti i dati in base al paradigma storico proposto su Pianeta Marte.net. Oltretutto, al di là dei cicli stagionali, dobbiamo considerare un fatto abbastanza evidente: Marte al pari della Terra presenta sempre, e tutto l'anno, alcune caratteristiche climatiche globali tra cui il clima equatoriale, il clima intermedio delle medie latitudini e quello delle regioni polari. Avremo sempre ricambi termici e correnti d'aria generate dalle differenze di temperatura tra una regione del pianeta e l'altra. Sicché non sarebbe stato impossibile tentare di rilevare attraverso i satelliti orbitali eventuali potenziali precipitazioni nevose di CO2. Eppure le centinaia di migliaia di fotogrammi scattati non hanno offerto molto al riguardo. Come mai? Così, la nevicata rilavata dal LIDAR (il dispositivo laser montato a bordo della Phoenix) è divenuta un evento clamoroso, mai visto prima (ovvio!) e inatteso dalla stragrande maggioranza dei ricercatori, mentre i nostri sospetti - e sottintese intuizioni - ci conducevano a ben altre strade. "Non si e' mai visto niente del genere su Marte prima d'ora" ha dichiarato Jim Whiteway, dell'università di York, a Toronto. LE INTERAZIONI TRA SUOLO ED ATMOSFERA? - Potrà sembrare un atteggiamento autocelebrativo ma, fatto sta che la nevicata marziana rilevata dal LIDAR ha messo in moto una giusta serie di interrogativi da parte dei ricercatori sulla possibilità di interazioni tra atmosfera ed acqua con il suolo marziano. Eppure, anche su questi importanti aspetti venuti ufficialmente alla ribalta così di recente avevamo già scritto con largo anticipo. Atteniamoci al comunicato NASA del 29 settembre 2008 tracciandone i principali punti salienti. La sonda Phoenix ha rilevato una nevicata su Marte, mentre gli esperimenti eseguiti attraverso strumenti di bordo avrebbero fornito la prova che in passato           vi sarebbero state interazioni tra i minerali del suolo e l'acqua liquida. Proprio alcuni specifici esperimenti avrebbero offerto ottimi indizi sulla presenza di carbonato di calcio e terreni argillosi. La presenza di questi elementi è           fondamentale perchè sono i medesimi che troviamo anche sulla Terra esattamente dove ci aspetteremmo di individuare acqua. Sarebbero state raccolte sufficienti prove che poco sotto la superficie esisterebbe uno strato di ghiaccio d'acqua mischiato al terreno. Si dovrà ora           determinare se tale ghiaccio si sia mai sciolto o possa sciogliersi; in tal caso, stando alle aspettative dei ricercatori, contribuirebbe a convalidare l'idea che           l'ambiente possa essere stato adatto ad ospitare la vita. La prova riguardante il carbonato di calcio individuato nei campioni raccolti dagli scavi sarebbe frutto degli strumenti di bordo, ovvero il TEGA (micro-           laboratorio per l'analisi dei gas) ed il MECA (micro-laboratorio per l'analisi chimica del terreno. All'interno del TEGA si sarebbe verificato un rilascio di CO2 a           temperatura elevata dai campioni di terreno. Poichè la decomposizione del carbonato di calcio può verificarsi entro un determinato range di temperatura, con           la liberazione del CO2, lo spettrometro di massa ha potuto così confermare la presenza del carbonato di calcio. Il MECA ha rilevato ciò che si potrebbe           definire "effetto di bufferizzazione" tipica del carbonato di calcio nell'analisi chimica del terreno bagnato. Sicchè la concentrazione di calcio era esattamente           nelle previsioni di una soluzione attenuata di carbonato di calcio. Analogamente, sia  il TEGA che il MECA hanno rilevato la presenza di particelle di terreno argilloso attraverso ulteriori analisi dei campioni raccolti dagli scavi. Lo scavo "Snow White" (Credits NASA) Lo scavo "Snow White". Processing by Pianeta Marte.net) Naturalmente la grande mole di dati dovrà essere ben studiata a fondo, ma gli sviluppi della Missione Phoenix sono incoraggianti. Sfortunatamente la sonda dovrà fare i conti con l'imminente inverno marziano, freddissimo e buio, durante il quale non sarà più possibile raccogliere energia dai pannelli solari. Torniamo adesso al nostro discorso iniziale sul come avevamo anticipato anche questa importante scoperta resa nota ufficialmente in questi giorni. In data 7 luglio 2008 avevamo scritto: "La nostra opinione, a questo punto, è che le interazioni fra aria e suolo sono molto reali e più complesse di quanto potremmo immaginare, a dispetto di chi crede che Marte sia "solamente" una landa sterile e quasi senza atmosfera...  Ciò che ha "sporcato" la paletta di Phoenix potrebbe essere una condensa d'acqua e, forse, se ci soffermassimo un po' meglio sulle altre parti metalliche del modulo la medesima condensa d'acqua si potrebbe riuscire ad isolarla dal contesto." In sostanza noi abbiamo sempre avuto a priori la certezza che le interazioni tra suolo ed atmosfera erano (e sono tuttora) molto più rilevanti di quanto si credeva (perchè ora tocca accettare la realtà). Ecco cosa aggiungevamo sempre nell'articolo datato 7 luglio 2008: "...In realtà noi avevamo ipotizzato che sotto il terreno radente alla superficie si trovano sia il ghiaccio d'acqua che il ghiaccio secco, ma anche il sale; e questa, dal nostro punto di vista, è la soluzione più logica per varie ragioni. Ma poi ci siamo ricordati di un articolo di qualche anno fa presente sul nostro sito ... Affinchè l'acqua liquida rimanga sopra il terreno occorre che questi sia capace di trattenerla senza assorbirla facendola scendere nel sottosuolo. Possibile che il terreno di Vastitas Borealis sia diventato così poroso da raccogliere tutta l'acqua rimanente? Stiamo parlando di una totale mutazione chimica del terreno! ...  Evidentemente non c'è solo il ghiaccio d'acqua sotto la patina esterna di superficie ... Resta un ulteriore possibilità. Potrebbero essere composti analoghi ai carbonati di calcio, di potassio ecc? Perchè no? Si tratta dopotutto di prodotti generati da interazioni fra CO2 e acqua, come accade anche sulla Terra." Dunque, con 3 mesi di anticipo ci eravamo sbilanciati nel proporre - sempre con il dovuto pragmatismo e senza pretendere di campare certezze - qualcosa che, almeno per noi, costituiva una quasi certezza, non di certo perchè ci siamo inventati tutto, ma perchè i dati offerti e pubblicati dalla NASA giocavano completamente a favore di quanto da noi messo per iscritto allora. Vogliamo comunque aggiungere che la nostra "intuizione" è stata ancora una volta avvalorata dal quadro interpretativo della storia di Marte proposto su Pianeta Marte.net. Immagine in "falsi colori" mostrante il terreno aderente alla paletta del robotic arm di Phoenix (Credits NASA) La stessa immagina rielaborata. (Credits NASA - additive processing by Pianeta Marte.net) L'argomento però non si esaurisce ancora per diverse ragioni sotto certi aspetti incredibili e, dal nostro punto di vista, veramente sbalorditive. Nell'articolo dell'8 giugno avevamo proposto vari modelli di terreno per Vastitas Borealis, ma quello da noi ritenuto più verosimile adduceva ad uno che definimmo "stratificazione irregolare" (diciamo pure "disomogenea" o meglio ancora "mista"): "In tal caso avremmo una texture composta da parti di terreno secco alternate a parti di terreno umido e compatto con - perchè no - frammenti di ghiaccio emergenti in superficie." E questo è ormai un dato di fatto innegabile. Rimane ancora da "scoprire" in modo definitivo la presenza di sale, elemento che noi abbiamo additato più volte negli articoli dedicati alla Missione Phoenix. Ci siamo interrogati a lungo sul perchè il sale non sembri ancora essere stato individuato, fino a quando abbiamo deciso di relazionare la scoperta del perclorato nei campioni di terreno esaminati dagli strumenti di bordo con la nostra insistenza sul sale. Vediamo di approfondire la questione... Modello dello ione perclorato in 2D (sinistra) e in 3D (centro). A destra è visibile un campione di carbonato di calcio. (Fonte: wikipedia.it)  Bisogna ammettere che la voce "perclorato" potrebbe risultare a prima vista un po' vaga e generica, da non confondere con i sali perclorati di sodio, potassio, litio, ammonio e magnesio, aventi tutti come base il cloro ed elevate percentuali di ossigeno. Ad ogni modo il perclorato è un composto di formula ClO4−, ovvero l'anione del cloro il cui stato di ossidazione corrisponde a +7. L'acido perclorico (HClO4) con l'aggiunta di basi metalliche forma, appunto, i sali perclorati. Considerato che nessuno può al momento sapere se e dove il perclorato su Marte sia diffuso oltre i dintorni della sonda Phoenix, ci resta che formulare una nostra ipotesi secondo cui questo composto chimico potrebbe essere ben presente in tutta la distesa come derivato da ciò che un tempo era originariamente cloruro di sodio, presente nell'oceano oggi sostituito dall'enorme deserto di Vastitas Borealis. Ma come si sarebbe trasformato il cloruro di sodio in perclorato? Forse attraverso la dissociazione dell'atomo di sodio e la successiva ossidazione del cloro. Poichè la nostra tesi globale sulla storia di Marte presuppone un mutamento delle condizioni ambientali dell'intero pianeta violente e repentine, la causa scatenante potrebbe essere stata un evento di tipo elettrico-gravitazionale di enorme portata, correlato e/o immediatamente seguito dalla mineralizzazione dell'atmosfera del pianeta. In pratica l'ossigeno precipitò al suolo ossidando tutta la superficie e dando origine a numerosissimi minerali ossidati. L'ematite grigia e l'ematite rossa sono ormai ben conosciute. Dunque il perclorato potrebbe costituire l'eredità di quel sale che un tempo era disciolto nel mare. Chissà, forse in futuro si individueranno persino sali perclorati di sodio. In sostanza, il sale da noi previsto potrebbe esistere sotto forma di altri composti chimici. Si tenga conto che a Meridiani Planum sono state individuate dal rover Oppurtunity molte sostanze minerali e composti tipici delle interazioni con acqua, tanto da far pensare ad una elevatissima salinità o acidità del presunto mare che un tempo occupava quella regione. CORRELAZIONI - Poichè la nevicata e le scoperte effettuate sulle analisi dei campioni di suolo sono state messe in correlazione proprio dagli stessi scienziati, non possiamo fare a meno che prenderne atto e ribadire la nostra non-sorpresa al riguardo. Il fatto che i ricercatori siano finalmente ben motivati a sapere se eventuali precipitazioni nevose (d'acqua e NON di CO2) possano toccare terra ci rallegra moltissimo, ma è il capire le ragione del come e perchè a creare qualche perplessità. La neve si sarebbe formata all'interno di nubi situate a 4 km di altitudine, avrebbe percorso 1,5 km di discesa fino a quota 2,5 km, dopodiché si sarebbe vaporizzata. In altre parole la neve non ha mai toccato terra. Noi abbiamo optato da parecchio tempo per una spiegazione tutto sommato semplice: esiste una rilevante cappa di umidità permanente a bassa quota su tutto il pianeta. Stop. Perciò a Vastitas Borealis qualsiasi condensa d'acqua a quote maggiori cadrà al suolo sotto forma di finissime particelle ghiacciate. Potrà sembrare un controsenso perchè si sa che la neve in caduta libera tende a formare fiocchi di varia grandezza. Ma evidentemente le cose sulla Terra non corrispondono esattamente allo svolgimento delle medesime su Marte. Visto che la temperatura delle nebbie al suolo e delle nubi pare esse molto simile (accettando come attendibili i dati del grafico sopra) la risposta più semplice al motivo per cui la neve non tocca terra potrebbe essere la seguente: una corrente d'aria sottostante le nubi avrebbe letteralmente funto da dispersore, trascinando via le particelle di neve appena formatesi; la figura qui sotto ci da un'idea approssimativa del fenomeno.    Molti si sono chiesti d'altronde come sia possibile che la neve si fosse sciolta (evaporata o sublimata) senza toccare terra. Domande più che legittime. Tuttavia le aspettative degli scienziati costituiscono per noi ulteriore sentore che le nostre ipotesi potrebbero essere sensate e che l'acqua giunga a terra, magari a qualche km di distanza, reagendo con il terreno sottostante. Recentemente abbiamo ragionato con un Astrofisico italiano sulla possibilità che nel terreno di Vastitas Borealis possa esistere fango (terreno + acqua allo stato semisolido); bisogna ammettere che la logica ed il pragmatismo dovrebbero spingerci a ritenerlo non possibile. Ciò nonostante molte immagini raccolte dalla sonda Phoenix durante questi mesi hanno offerto (e offrono tuttora) molto su cui riflettere. Non avrebbe comunque senso pensare che l'acqua sublimi proprio mentre cade raggiungendo la bassa atmosfera dove la pressione sarebbe più elevata che a quote maggiori, pur nonostante le temperature bassissime. Basta rileggersi bene il grafico dell'acqua e del CO2 per rendersi conto della situazione. The "Icy" Trench - Sol 39 (natural colors; credits: Dr Gianluigi. Barca) CONCLUSIONI - Su questa serie di affascinanti ed intriganti argomenti ci sarà ancora molto da lavorare, tuttavia vorremmo chiarire qualche aspetto finale a beneficio di tutti i Lettori. Per prima cosa noi non siamo di certo più esperti del Personale Tecnico impegnato nella Missione Phoenix. Secondariamente, quello che abbiamo scritto in questi mesi,  e anche ora, non dimostra che ne sappiamo più degli scienziati. E' vero che potremmo aver anticipato i tempi rispetto ai comunicati ufficiali della NASA, ma è bene tener presente che lo scienziato deve attenersi sempre ad un protocollo professionale rigoroso e pragmatico che lo costringe suo malgrado ad attenervisi in attesa che tutti i risultati di esperimenti, studi comparativi ed interpretativi portino a risultati definibili verosimili (dal loro punto di vista ovviamente). Che poi possiamo condividerli o meno è una libera scelta individuale. Le nostre ipotesi sul perclorato e sul perchè la neve non abbia toccato il suolo potrebbero essere interessanti e, chissà, persino valide, anticipando nuovamente i tempi. Ma potrebbero essere errate. Meglio dunque essere onesti e non cercare di incantare il Lettore che ci segue. Restiamo in attesa. E' però vero un fatto: abbiamo le nostre "certezze", intuizioni magari preconcette basate sul nostro modo di interpretare la storia di Marte. Questo ha senza dubbio una parte influente nel condurci a determinate conclusioni, ma nessuno è obbligato a sposarle. Agli scienziati che stanno lavorando sull'esplorazione di Marte va elargito un accorato ringraziamento per il loro lavoro. Senza  di essi il Ricercatore Indipendente non avrebbe nulla su cui dire la propria. E visti i tempi bui ai quali stiamo avviandoci il nostro augurio è che questi scienziati non ne paghino ingiustamente le spese venendo prima o poi liquidati come oggetti inutili per i meschini interessi commerciali di chicchessia. Aggiornamento a dicembre 2011 - Il nostro corrispondente da Amsterdam Marco De Marco che, come il direttore di questo Portale, è specializzato in questioni marziane. ha proposto un’ulteriore ipotesi in definitiva ragionevole: la nevicata potrebbe essere stata davvero di CO2. Perchè? Dal momento che il CO2 dovrebbe sublimare rispettando le consuete regole fisiche da sempre conosciute dalla Comunità Scientifica, verrebbe da pensare che esso a quote elevate avrebbe posseduto la consistenza di neve secca. Tuttavia, una volta raggiunte delle altitudini più vicine al suolo, sarebbe semplicemente sublimato a motivo delle temperature più elevate. A tal fine si vedano i grafici e le considerazioni dell’articolo dedicato all’acqua liquida di Marte pubblicato nelle nostre pagine.