Il vento solare è costituito da particelle radioattive ed atomi che vengono costantemente emesse dal sole verso lo spazio esterno, in tutte le direzioni. Fatto interessante è che possiede anche una, se pur minima, pressione di spinta. Tra gli aspetto pratici del vento solare possiamo senz'altro menzionare come questa pressione ha motivato alcuni ideatori di veicoli spaziali a teorizzare una cosiddetta "vela solare".

Soffermiamoci invece su altri aspetti che il vento solare implicherebbe. Se, dunque, la pressione risultasse avere un seppur minimo valore quantificabile, è altresì verosimile che i suoi effetti possano influire in qualche modo persino sulle atmosfere dei pianeti. Un fenomeno  dovuto all'interazione tra il vento solare e la Terra lo si può osservare per esempio nelle aurore boreali. In tal caso sarebbe possibile ipotizzare che la pressione di spinta del vento solare sia in grado di spazzare lentamente l'atmosfera di un pianeta? Stando ad una recente teoria sembrerebbe di sì. Vediamo di comprendere meglio la questione.

Da che la sonda Mars Express orbita stabilmente attorno a Marte sta fornendo preziosi dati sul questo pianeta. Uno dei dispositivi di bordo del satellite automatico si chiama ASPERA-3. Esso sarebbe in grado di rilevare quanti atomi di ossigeno e idrogeno, nell'atmosfera di Marte, subiscono l'azione aggressiva da parte delle particelle di vento solare. Parte del dispositivo (hardware e software) è stato realizzato grazie all'I.F.S.I. di Roma (Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario) e all'Agenzia Spaziale Italiana. Stando quindi agli studi effettuati dal Team di scienziati, i cui risultati preliminari sono stati pubblicati recentemente su Science, sembrerebbe che il continuo bombardamento del vento solare sugli strati esterni dell'atmosfera di Marte possa aver prodotto una specie di fuga e dispersione di acqua e altre molecole verso lo spazio. Questo fenomeno sarebbe stato ben favorito qualora si presupponesse che milioni e milioni di anni fa il vento solare fosse stato assai più intenso di oggi.   

Così, gradualmente, si innescò un meccanismo che portò lentamente Marte ad assumere non più l'aspetto di pianeta caldo e umido, con gli ipotetici mari, laghi e fiumi, bensì di un corpo freddo e sterile come lo conosciamo oggi. Questo è stato il commento (citato da una fonte giornalistica) di Stefano Orsini, del Team IFSI: "Siamo particolarmente contenti di  questo risultato. Si tratta di una metodologia applicata per la prima volta ai pianeti e dimostra le sue notevoli potenzialità nello studio delle atmosfere e dei complessi meccanismi che ne regolano l'evoluzione".

Poichè ASPERA-3 sta dando ottimi risultati sicuramente avrà un futuro nelle prossime esplorazioni tra cui Venere e Mercurio. Questo è quanto risulta. Certamente si tratta di un progetto molto incoraggiante e buono verso la tecnologia e la professionalità italiane.


Una teoria molto interessante, ma con un problema di base - Di per se è comunque positivo quando si cerca di interpretare i dati attraverso la formulazione di ipotesi di lavoro perchè è grazie a questo genere di approccio che vengono a galla molto spesso elementi indispensabili alla corretta comprensione dei fenomeni che ci circondano. Confrontarsi con idee eterogenee arricchisce il dialogo e l'acquisizione di più modelli d'analisi, atti poi alla medesima finalità.Non c'è dubbio che questo fenomeno di lenta fuga potrebbe essere reale, e provocare una certa quantità di dispersione dei gas atmosferici. Restiamo allora nell'ambito delle teorie tradizionali sulla nascita del sistema solare affinchè potremo renderci conto di un probabile paradosso evolutivo piuttosto rilevante.

La nascita del nostro sistema solare sarebbe iniziata circa 5 miliardi di anni fa, a partire da una nebulosa che stava collassando verso il proprio centro di massa; in questo modo si formava la proto-stella solare. Ovviamente, man mano che la nebulosa si contraeva, assumeva una sagoma discoidale, dovuta alla rotazione impressa dalla forza di gravità stesa su tutta la massa. La nebulosa probabilmente doveva avere comunque una struttura formata da zone di diversa densità. Fu proprio in queste aree che, presumibilmente, si formavano i pianeti, dove esistevano questi settori più densi, i quali poterono a loro volta collassare in ulteriori proto-masse minori.

In sostanza, i gas e i vari elementi venivano attratti in queste proto-masse dove vi era una maggior concentrazione di materia, favorendone l'accrescimento. Mentre le proto-masse si ingrandivano aumentava la massa, la densità e il campo gravitazionale fino a quando si attivarono gradualmente le reazioni termiche (dovute alla pressione gravitazionale frutto della stessa massa). Si ritiene che gli elementi più pesanti precipitavano verso il centro, mentre quelli più leggeri tendevano ad emergere verso l'esterno del proto-pianeta. Sembrerebbe tutto abbastanza coerente nella sequenza di eventi, ma nel descrivere la probabile nascita del sistema planetario abbiamo trascurato un fattore assolutamente importante. il vento solare.

L'ipotesi formulata dal Team dell'IFSI dovrebbe essere applicata in modo altrettanto coerente. Se il vento solare sarebbe in grado di esercitare un piccola pressione di spinta e potrebbe inoltre spezzare alcune molecole relativamente semplici come l'acqua, quali saranno stati gli effetti del vento solare agli inizi del sistema solare, mentre era ancora giovanissimo ed in fase di formazione? Se davvero miliardi di anni fa avevamo una situazione nella quale il vento solare forse era molto più intenso rispetto ad oggi, quali effetti avrebbe potuto esercitare sulle particelle della nebulosa che, di fatto, erano in fase di aggregazione per formare i proto-pianeti?

Non dimentichiamo che stiamo parlando fondamentalmente di atomi di idrogeno, ossigeno, carbonio, azoto e svariati elementi metallici relativamente più pesanti tra cui ferro, nichel ecc., ma sempre atomi. Immancabilmente la pressione del vento solare avrebbe anzitutto spinto gli elementi più leggeri verso l'esterno rendendo meno probabili lo stabilirsi di certi legami molecolari essenziali; sarebbero di conseguenza diminuite molto le probabilità che eventuali singole proto-masse avrebbero preso forma sul medesimo piano orbitale. In pratica sarebbero invece aumentate le probabilità che la costante pressione del vento solare avrebbe continuato ad agire da fattore di non-coesione, rendendo disomogenea la nebulosa planetaria sopratutto nelle vicinanze della stalla madre (il nostro sole). Anzi, verrebbe spazzata tutta verso l'esterno. La morale della favola è che i pianeti avrebbero corso il serio rischio di non nascere affatto.

Ed è proprio qui il paradosso: se il vento solare - in passato più intenso - avesse lentamente spazzato via l'atmosfera di Marte, tanto più avrebbe dovuto impedire la nascita dei pianeti stessi. In più, per logica di coerenza, si dovrebbe applicare lo stesso modello dinamico alla Terra e anche a Venere. Sebbene questi ultimi hanno una forza gravitazionale maggiore rispetto a Marte è però altrettanto vero che, orbitando più vicini al sole, ricevono oggi (tanto più nel loro passato) una quantità di radiazioni ben maggiore rispetto a Marte. 

La realtà è che Venere, molto più vicino al Sole, possiede una spessa e densissima atmosfera che al suolo avrebbe una pressione di 90 atmosfere terrestri. Dopo oltre 4 miliardi di anni, in teoria, il vento solare avrebbe dovuto assottigliarla parecchio (anche in virtù della stessa mobilità termica delle molecole), ma così non sembra essere accaduto. Neppure la Terra pare aver subito delle dispersioni così rilevanti. Naturalmente occorre tener conto di altri fattori, quali il vulcanismo (gas che vengono immessi nell'atmosfera), evaporazione di acqua ed altri ancora.

E' assai più probabile che la dispersione dell'atmosfera di Marte, e dei suoi possibili oceani, vada attribuita ad altri eventi, ben più gravi e probabilmente molto meno lontani nel tempo. Speriamo che le attuali missioni, nonchè le prossime future, su Marte possano offrire nuovi dati per far luce sul passato di questo pianeta.

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