generalità sul pianeta - E' il più vicino alla Terra fra i pianeti esterni ed è il quarto, rispetto al Sole. Marte orbita su un percorso ellittico di eccentricità pari a 0,093, con una inclinazione sull'eclittica di 1º,9. La distanza media dal Sole è di 227,8 milioni di km (1,52 UA) e la differenza tra il perielio e l'afelio si aggira sui 42 milioni di km; il periodo di rivoluzione siderale è di 1,88 anni. Il periodo sinodico è di 2 anni e 50 giorni circa paragonato alla Terra; trascorso il quale Marte si trova in opposizione rispetto al Sole ed è nelle condizioni più adatte sia per l'osservazione che per i lanci di sonde spaziali (in genere il periodo migliore si verifica ogni 26 mesi).

La distanza tra Terra e Marte, a causa anche dell'eccentricità dell'orbita terrestre (comunque decisamente contenuta), può subire variazioni, all'opposizione, tra circa 55 e 101 milioni di km. Quando la Terra si trova all'afelio della sua propria orbita, e Marte rispettivamente al suo perielio, si verifica una cosiddetta "grande opposizione", come quella del 13 giugno 2001. Esse si verificano in genere ogni 15-17 anni. Nei casi in cui Marte si trovasse all'afelio e la Terra anche all'afelio, ma opposti l'uno all'altro, la distanza tra i due pianeti può arrivare a 400 milioni di km. 

Il diametro equatoriale è di 6787 km, con uno schiacciamento polare di 0,009 (simile a quello terrestre); la massa è 0,108 volte quella della Terra, l'accelerazione di gravità superficiale è solo il 38% di quella terrestre e la velocità di fuga 5,0 kmxs-1. L'apparente bassa gravità superficiale, la relativa ridotta massa e densità rendono tali valori al quanto curiosi in rapporto con le dimensioni planetarie. In effetti potremmo definire Marte (se pensiamo al diametro) come "metà della Terra". Basti pensare che Mercurio ha una densità pari a quella terrestre. La domanda sorge spontanea: che ipotesi è formulabile per tentare una possibile spiegazione? Forse Marte in passato potrebbe aver subito la perdita di una notevole quantità della propria massa globale, a partire dal mantello e dal nucleo, le cui conseguenze potrebbero essersi riversate sull'atmosfera, sulle acque superficiali e sul campo magnetico. 

Marte ruota su se stesso in 24h37'23", superiore di soli 41" al periodo di rotazione siderale della Terra; l'inclinazione dell'equatore marziano sul piano dell'orbita è di 23°59', di pochissimo superiore a quello terrestre. Da notare che altri testi divulgativi e siti internet (compresa la NASA) la danno a circa 25°19'. Quindi anche Marte, come la Terra, possiede stagioni, ma più lunghe a causa del suo maggior periodo orbitale. Anche qui balza un'altra curiosità: la coincidenza tra rotazione e inclinazione dell'asse di Terra e Marte. Sembra che questo apparente parallelismo non sia molto rilevante in ambito accademico perchè ritenuto un dato puramente casuale. Tuttavia la possibilità che Terra e Marte abbiano formato in passato un sistema binario pianeta-pianeta non è mai stata presa in esame seriamente dalla comunità scientifica "ufficiale", la quale ne è decisamente disinteressata. Sebbene, di per se, sia un'ipotesi come tutte le altre essa presenta due grossi problemi sostanzialmente inaccettabili:

1) come si sarebbe svolto lo spostamento orbitale di Marte da quello terrestre fino alla sua attuale posizione, tenendo conto che l'angolo ottimale entro il quale la traiettoria si sarebbe potuta svolgere non è molto ampio?

2) Da dove sarebbe arrivata la nostra attuale luna?

 


I satelliti di Marte - Il pianeta Marte ha due satelliti "naturali": Phobos e Deimos. Il loro aspetto è piuttosto irregolare e craterizzato. Le dimensioni di Phobos sono: 19x21x27 km e Deimos: 11x12x15 km. La loro individuazione avvenne nel 1877 dall'astronomo americano A. Hall. Phobos orbita intorno a Marte in 7h39' e Deimos in 30h17'. La distanza in media da esso è di 9000 per Phobos e 24.000 km per Deimos

 


Ipotesi sull'origine DEI SATELLITI DI MARTE - L'ipotesi più accreditata vuole che Phobos e Deimos siano due asteroidi catturati dal pianeta Marte. Ma il fatto che entrambi orbitano in una traiettoria parallela all'equatore del pianeta rende alquanto improbabile tale possibilità. Oltretutto occorre tenere presente che la posizione di Marte, nel passato, potrebbe non necessariamente essere stata la medesima di oggi complicando ulteriormente la loro collocazione. Per rendere ancora più pesante il problema ricordiamo che Marte è relativamente piccolo ed il suo campo gravitazionale risulta quindi ridotto, rendendo eventuali catture più difficili.

Un'altra ipotesi è argomentabile sulla base di valutazioni di differenze strutturali tra Marte e le sue lune; in pratica potrebbe darsi che queste ultime rappresentino i corpi maggiori di uno sciame di relitti prodotti e sollevati in passato, intorno al pianeta madre, dall'impatto di un asteroide di almeno 1800 km di diametro. Da notare infatti che tra le orbite di Terra e Marte transitano un certo numero di asteroidi che potrebbero essere in definitiva altri frammenti di Marte. Tali corpi hanno orbite molto ellittiche e che intersecano le orbite di Marte, Terra, Venere e Mercurio. Un aspetto curioso di queste lune è che le loro orbite tenderebbero a restringersi gradualmente. Per quanto riguarda Phobos tale fenomeno è stato rilevato e misurato. Alla fine questi "sassi spaziali" in sostanza precipiteranno sulla superficie del pianeta.

Si ipotizza anche che Phobos e Deimos, a causa della loro probabile composizione di ghiaccio e rocce, potrebbero essersi formati assieme al pianeta e sviluppati mantenendo orbite equatoriali. Purtroppo ci si chiede come mai se ne sono sviluppati solo due di questi frammenti. Se così fosse dovrebbero essercene almeno un certo numero, anche solo più piccoli.

C'è infine un'altra curiosità che vogliamo ben sottolineare: Phobos e Deimos sembrano essere ricoperti di regolite, praticamente il medesimo che troviamo sulle superfici di Marte, della nostra Luna e di numerosi corpi minori. Il regolite è un tipo di finissima polvere che potrebbe scaturire in esplosioni da impatto, oppure anche da eventi catastrofici ancora più drammatici. 

Interessante notare che Marte praticamente non ha "digerito" questo regolite. Normalmente l'acqua, il vento e altri fenomeni geologici locali (come è accaduto sulla Terra), avrebbero dovuto renderlo parte integrante del suolo marziano, divenendo sostanzialmente irriconoscibile. Il che fa sorgere qualche ulteriore interrogativo: il regolite da dove arriva? La sua origine andrebbe davvero spostata ad epoche remote del nostro passato?

 

Per ottenere questa composizione sono state utilizzate 104 fotografie scattate dall'Orbiter del Viking 1. In primo piano il canyon Valles Marineris (al centro in basso) e i vulcani Tharsis (a sinistra).
Crediti: NASA/USGS

 

 

In questa veduta, si possono osservare ammassi di acqua ghiacciata lungo il lato occidentale del vulcano Olympus Mons (la struttura circolare verso l'alto ), quando sorge l'alba. Sono evidenti (sul fondo) depositi di ghiaccio attorno al polo sud.
Crediti: NASA

 

Phobos, il più interno dei due piccoli satelliti di Marte, ripreso dal Viking. Ha un'estensione di 28x20 km ed è ricoperto da crateri da impatto; il maggiore, visibile in questa immagine, è Stickney, 10 km di diametro, caratterizzato da lunghe scanalature rettilinee.
Crediti: Osservatori Nazionali di Astronomia
L'Orbiter del Viking 2 è stato programmato per ottenere queste immagini ad alta risoluzione in cui si possono osservare strutture piccole fino a tre metri (distanza: 30 km). Molti crateri appaiono solo in forma di contorni sfocati, a causa del pulviscolo. Massi dai 10 ai 30 metri sono sparsi sulla superficie.
Crediti: NASA

la superficie - L'emisfero settentrionale di Marte manifesta una crosta di riformazione, dominata da ampie distese, più o meno levigate, di materiali effusivi riversatisi in tempi recenti dagli strati subcrostali. L'attività endogena del pianeta è resa palese dalla presenza di altopiani di natura plutonica (dorsali di Elysium, Tharsis) dai quali si elevano edifici vulcanici a scudo la cui imponenza (Monte Olympus, il maggiore, misura 570 km di diametro di base e raggiunge i 26 km di quota; Monte Ascreus rispettivamente 400 e 20 km; e dimensioni comparabili misurano i vulcani Pavonis e Arsia) lascia comprendere che le formazioni si sono mantenute e accresciute in loco per tempi prolungati, forse fino a 100 milioni di anni fa, prima di venir estinte dai movimenti tettonici. Questo è ciò che più rimarcano le teorie maggiormente accreditate allo stato attuale.

Uno dei tanti problemi che la planetologia deve affrontare è proprio la datazione geologica. Normalmente le ipotesi largamente accettate si basano sul cosiddetto "gradualismo" oppure sull'"uniformismo". Secondo tali presupposti, i fenomeni di mutamento su larga scala avvengono in modo lentissimo e graduale; inoltre dall'analisi del presente si arriva a comprendere il passato. Tuttavia la natura insegna che eventi violenti possono produrre cambiamenti significativi anche in brevissimo tempo. Cosa implica tutto ciò? In sintesi è plausibile che la superficie di Marte potrebbe aver subito mutamenti drastici in epoche anche abbastanza recenti, analogamente alla Terra. Tra le altre interessanti implicazioni vi potrebbero essere ad esempio fattori di natura gravitazionale, da impatti devastanti o di natura magnetica, tali da permettere la formazione di edifici vulcanici così vasti e delle dorsali così estese.

Si suppone che Marte non abbia mai avuto una significativa suddivisione e mobilità di zolle crostali. In realtà proprio di recente sono emersi indizi molto validi a favore della tettonica a zolle marziana. Si spera comunque che la nuova sonda americana (MRO), lanciata ad agosto 2005 ed entrata in orbita a marzo 2006, possa fornire ulteriori dati per comprendere la natura della struttura interna del pianeta. Si suppone che la crosta che ricopre l'emisfero australe possa essere di origine più antica, in quanto le tracce del bombardamento meteorico delle prime età sopravvivono in un ricco assortimento di crateri e di bacini d'impatto, il più vasto dei quali, Hellas, ha un diametro di 2000 km. Forse la grande area di Hellas fu occupata da un vasto mare. Ma anche questo è un dato da dimostrare: altri ricercatori hanno avanzato l'ipotesi che si sia trattato di un evento catastrofico abbastanza recente, che abbia coinvolto l'emisfero meridionale e non l'emisfero settentrionale. Se ciò fosse plausibile allora viene da chiedersi quale serie di eventi coinvolsero il sistema solare, tali da produrre effetti così devastanti ed estesi. 

 

La differente storia geologica fra i due emisferi appare sottolineata, in corrispondenza dei loro margini d'accostamento, dalla presenza di un imponente sistema di faglie e di fratture che documentano i processi di lacerazione dai quali la superficie marziana è stata sconvolta nel corso della sua differenziazione. Il sistema di fratture inizia a ridosso della dorsale di Tharsis, in zona equatoriale, con l'intrico di Labyrinthus Noctis sfociante verso est nel Tithonius Chasma e nel Coprates canyons, profondi alcune migliaia di metri e larghi fino a 75 km. La faglia prosegue nella cosiddetta Valles Marineris, impressionante frattura che si estende per oltre 5000 km con larghezze e profondità fino a 120 km e 6000 metri. Per dimostrare al di là di ogni dubbio che i fenomeni esaminati abbiano età di centinaia di milioni di anni, occorreranno ulteriori ed accurate analisi da parte di sonde specializzate nei prossimi anni. Quanto appena descritto in effetti testimonia la storia di un pianeta che potrebbe nascondere una catastrofe senza precedenti. Le teorie "gradualiste" vorrebbero sostenere che in centinaia di milioni di anni Marte, come la Terra, abbia acquisito tali caratteristiche superficiali così profondamente marcate. E che dire invece se sostenessimo l'ipotesi di un passato dove Marte era un pianeta dinamico, con una sua tettonica a zolle, per esempio; con un vulcanismo attivo e caratteristiche tipicamente terrestri? E che dire della profonda serie di fratture della crosta? Non balza alla mente il fatto che un totale rimodellamento planetario possa essersi verificato dall'interno stesso? Che dire della possibile dispersione di massa planetaria?  

I rilevamenti fotografici hanno anche rivelato la presenza su Marte di terreni di natura alluvionale sui quali compaiono le tracce di depositi fluviali (i cosiddetti channels); gli stessi rilevamenti, in corrispondenza delle regioni polari, hanno posto in evidenza terreni incoerenti e caotici (resi tali da iterati fenomeni di glaciazione), e terreni lamellari dovuti a processi ricorrenti di deposizione di permafrost (sabbie intrise di ghiaccio d'acqua). La presenza di acqua su Marte è di fondamentale importanza per molte ragioni. Saranno prese in esame molte prove a favore di questa possibilità. Non dimentichiamo inoltre che, se Terra e Marte potrebbero aver seguito "destini" paralleli, le stesse conseguenze avrebbero potuto toccare anche a noi.

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natura del suolo - La superficie del pianeta ricorda molto quella dei deserti terrestri, il suo colore, che spesso tende sul rossiccio, è dovuto alla presenza di ossidi di ferro. Quando le sonde Viking atterrarono nel 1976, analizzarono chimicamente la superficie nei punti a loro accessibili; il risultato fu il rilevamento, nei depositi sabbiosi, di ferro (14%) e silicio (15-20%) e presentano tracce di vari altri elementi (Ca, Al, S, Ti, Mg, Cs e K). Sulla base dello sprofondamento dei sostegni dei moduli di approdo entro il suolo marziano e dei risultati dell'attività di scavo delle pale meccaniche, è apparso che il suolo, almeno nelle aree di atterraggio, possiede una consistenza granulosa che ricorda il regolite lunare, abbondante di materiale eruttivo e di brecce. La cosa interessante è che anche nelle zone dove sono atterrati Spirit e Opportunity, si sono riscontrati numerosi indizi di materiali eruttivi. E' sorprendente il fatto che, anche in aree non troppo vicine ai vulcani, possiamo trovare tali tracce.

Come vedremo ci sarebbero delle interessanti spiegazioni. Tutto ciò dimostra quanto lavoro c'è da fare ancora per avere una visione chiara e coerente del nostro "vicino di casa". E' da notare comunque che il colore rossiccio, visibile spesso nella visione telescopica a grande distanza, è in realtà un effetto ottico dovuto all'insieme dei vari colori del pianeta stesso, caratterizzato da terreni alle volte rossicci, bruno-giallastri e marroni, analogamente ai terreni sia desertici che d'altro genere presenti anche sulla Terra. Abbiamo visto anche la presenza di polvere tipicamente analoga alla regolite e alle rocce basaltiche; è difficile credere che tali materiali possano essere scaturiti persino in zone dove vulcani e fenomeni da impatto erano al quanto distanti. Pertanto non si può scartare l'ipotesi che una serie di eventi violenti abbiano investito il pianeta scaraventando detriti (ejecta di varia tipologia), polvere "rossa" e altro materiale anche lontano dalla fonte, addirittura nello spazio.

 


la struttura interna - Secondo le teorie "scolastiche" più accreditate Marte si è costituito 4,5 miliardi di anni fa dall'aggregazione di planetesimali, analogamente agli altri pianeti del sistema solare. Tuttavia se analizzassimo al "microscopio" il concetto di aggregazione nello spazio vuoto attorno al sole, potremmo ben presto notare dei problemi gravi: le bassissime probabilità di "incontro" tra tali minuscole particelle; il vento solare che ne ostacolava l'aggregazione; i raggi UV che spezzano i legami molecolari dell'acqua e di altre molecole semplici; le altrettante basse probabilità che tutta quella massa sparpagliata in un volume così esteso (parliamo di centinaia di milioni di km di spazio) si radunasse in un singolo pianeta anzichè in altrettanti corpi minori. 

Se invece provassimo a teorizzare il concetto opposto, ecco che le probabilità di una formazione planetaria salgono esponenzialmente. In sostanza dovremmo ipotizzare una specie di proto-massa che si "condensa" a grande tasso di velocità sul proprio centro di gravità. Così, in qualità di pianeta di tipo "terrestre", tale proto-massa avrebbe potuto bene andare incontro a una fase di rapida fusione e rimescolamento del proprio interno che avrebbe dato luogo alla "differenziazione" per strati mineralogici, chimicamente diversificati, dell'intera massa planetaria. Certo che sorgerebbe una domanda: da dove sarebbe arrivato tanto materiale per un rapido accrescimento?

Si è sempre pensato che Marte possegga un nucleo centrale circondato da un mantello e da una crosta superficiale come accade per la Terra. Sembra che quest'ultima (la crosta marziana) sprofondi mediamente a 40-50 km, uno spessore per lo meno doppio di quello della crosta terrestre. 

Il fatto di essere tanto massiccia e di mancare di un'adeguata base fluida di sostegno è certamente la causa determinante della riscontrata assenza, sul pianeta, del costituirsi di placche continentali galleggianti simili a quelle terrestri. Oppure potrebbe darsi che Marte abbia subito una disastrosa catastrofe planetaria, con relativa implosione, in grado di averne determinato la scomparsa.

Sepolto sotto il mantello, il nucleo di Marte, povero di ferro e di nichel, non raggiungerebbe i 2500 km di diametro: troppo minuscolo, quindi, per risultare, a sua volta, differenziato in una sezione esterna fusa, idonea a innescare il noto meccanismo "a dinamo autoeccitata" che, come per la Terra, presiede alla generazione di un campo magnetico globale. Infatti il pianeta non possiede una magnetosfera significativa, né fasce di radiazione tipo Van Allen. Le recenti rilevazioni sembrano confermare il fatto che oggi Marte è fluido all'interno. Ma non è da escludere che in passato le cose stessero sempre così. Forse Marte aveva un nucleo solido e di ferro-nikel, generante un campo magnetico come quello terrestre.

 

Parte di Valles Marineris fotografata dal Mariner 9. Questa grande fossa tettonica si estende per oltre 5.000 km (3.100 miglia), lungo la regione equatoriale di Marte.
Crediti: Osservatori Nazionali di Astronomia

 

 

 

Questa immagine dall'Olympus Mons presa di prima mattina, in estate, mostra una nube che circonda il vulcano.
Crediti: Osservatori Nazionali di Astronomia

 

 

 

In questa immagine è possibile vedere porzioni dei paracadute del Pathfinder in primo piano, una larga roccia marziana e, sullo sfondo, una collina. Le immagini sono state prese dal sistema di elaborazione delle immagini durante il primo giorno trascorso dal veicolo sul Pianeta Rosso. Il Pathfinder atterrò su Marte alle 10:07 di mattina del 4 Luglio del 1997.
Crediti: NASA-JPL

 

Gli strati di nuvole rosa vengono sospinti dal vento di nordovest a una velocità di circa 15 miglia orarie (circa 6,7 metri al secondo) e a un'altezza di 16 chilometri (10 miglia) sulla superficie del pianeta. Queste nuvole sono formate da acqua ghiacciata condensatasi sulle particelle di polvere rossa sospese nell'atmosfera. L'immagine fu scattata dal sistema di elaborazione di immagini del Pathfinder una quarantina di minuti prima dell'alba.
Crediti: NASA-JPL

clima e meteorologia marziana - L'aspetto del cielo su Marte, a volte sconvolto da tempeste di sabbia, viene spesso mostrato dalle immagini ricevute con colori talvolta contraddittori. In alcuni frames appare un cielo rossastro, a volte rosa; in altri frames si vede un cielo giallastro e in altri ancora si nota un colore tipicamente terrestre come quando si manifesta la cosiddetta cappa di afa (azzurro chiaro con sfumature rosa).

L'atmosfera di Marte, che molto probabilmente in passato era paragonabile a quella terrestre, avrebbe una pressione al livello del suolo di circa 7 millibar; questi sono i dati medi comunicati dagli Enti Spaziali Essa è composta principalmente da anidride carbonica (95%), ma contiene anche azoto biatomico (2,7%), argon (1,6%), tracce di ossigeno, vapore acqueo, monossido di carbonio, cripton e xenon. La temperatura media superficiale è inferiore a -60°C, ai poli raggiunge valori di -128°C mentre nelle regioni equatoriali sono possibili temperature oltre i  +20°C. Circa la densità dell'atmosfera marziana sorgono tuttavia parecchi dubbi allorchè osservando moltissimi frames si nota un colore molto chiaro del cielo (impossibile a pressioni così basse), talvolta sembra che nello sfondo del paesaggio si intraveda qualcosa che ricorda la "foschia" terrestre (umidità o pulviscolo?). Altre immagini inoltre sembravano mostrare "pozze" d'acqua liquida e "laghi" di acqua superficiale. Ma l'acqua allo stato liquido non può esistere in modo stabile a 7 millibar di pressione. Pertanto restano da chiarire ancora certi aspetti, sebbene i dati presentati dalle fonti ufficiali siano, a loro detta "accettabili e attendibili". Potrebbe essere, però... 

In ogni caso la pressione atmosferica marziana è più bassa rispetto a quella terrestre; di conseguenza la circolazione dei flussi d'aria potrebbe dipendere sopratutto dai cicli stagionali basilari legati alle modificazioni delle calotte polari. La sublimazione del CO2 probabilmente costituisce il "motore" delle forti correnti atmosferiche planetarie. Consideriamo infatti che il CO2 è un gas che non possiede uno stato liquido; esso passa dallo stato solido (il cosiddetto ghiaccio secco) al quello gassoso, e viceversa. Quando in un emisfero è estate, ovviamente nell'altro è inverno; accade che l'anidride carbonica da una parte evapora e dall'altra si congela al suolo, producendo un gradiente di differenziazione termica e di pressione atmosferica sufficiente ad innescare venti oltre i 200 km orari, che possono investire tutto il pianeta.

Si suppone che la rarefazione atmosferica favorisca lo sviluppo di velocità così elevate perchè non esiste in modo ben sviluppato il complesso susseguirsi di fenomeni meteorologici ai quali siamo abituati ad assistere sul nostro pianeta. Ma questa è un'idea che va messa alla prova con la documentazione acquisita.

Le tempeste di polvere (finissima sabbia) sono in grado di offuscare talvolta l'intero pianeta, e si rendono sovente visibili anche nel corso di osservazioni dalla Terra. Tuttavia tali tempeste sono meno frequenti di quanto si dica. Sebbene attualmente il vento costituisca il principale agente erosivo del suolo marziano, bisogna capire fino a che punto tale erosione possa provocare effetti di rilievo a medio e lungo termine. Se davvero la rarefazione è dell'ordine di 100 volte quella terrestre il vento marziano non potrà mai avere la forza per provocare effetti rilevanti. Tanto più sollevare pulviscolo e mantenerlo in quota, trasportandolo da una parte all'altra del pianeta. 

Non c'è dubbio che la superficie di Marte mostra segni di erosione assai marcati, come se vi fosse davvero stata un'atmosfera molto più densa. Costituisce questa un'apparente contraddizione? La probabile soluzione è che Marte l'abbia posseduta fino a non molte migliaia di anni fa, con una pressione  simile a quella terrestre. Varie immagini riprese da Spirit e Opportunity mostrano terreni con segni ancora "freschi", come se avessero non milioni di anni, ma poche migliaia di anni.

 


l'evoluzione ambientale del pianeta - Molteplici e svariati sono gli aspetti nella morfologia del pianeta che suggeriscono, per il passato, un ambiente profondamente diverso da quello del giorno d'oggi, fra cui fenomeni erosivi, alluvionali, depositi stratiformi, escavazioni di natura fluviale, ecc. Tra le ipotesi maggiormente accreditate viene spesso messo in risalto un presumibile "effetto serra" abbastanza marcato, generato dal CO2 e dal vapore acqueo. Tali gas sarebbero stati originati nei processi vulcanici e da altri fenomeni di degassazione primordiale. Queste condizioni avrebbero garantito una temperatura abbastanza elevata da consentire lo stabilirsi di una circolazione acquea completa con condensazioni, piogge, raccolta in bacini fluviali e marini, evaporazione. Ma un ciclo dell'acqua analogo a quello terrestre avrebbe necessitato anche di una adeguata protezione dei nocivi raggi UV e altre radiazioni solari, dannose alla stabilità delle molecole d'acqua stesse. 

Ammesso che esistevano davvero le condizioni adatte, quale processo naturale avrebbe stabilito la giusta quantità di gas atmosferici  e di acqua?  Quante sono le probabilità che un processo puramente "evoluzionistico", basato su caotici eventi senza nessun controllo, possa produrre in due pianeti le stesse condizioni per lo stabilirsi del ciclo dell'acqua? 

Secondo i planetologi le condizioni, molto simili a quelle terrestri, permasero  fino a 3,8 miliardi d'anni fa. A loro dire, fu l'epoca in cui si esaurì progressivamente la coltre di CO2 (era geologica Noachiana) che, in parte venne mineralizzata dalle acque e in parte (insieme all'acqua) rimase dissociata per l'ossidazione del suolo e per l'irradiazione solare. Con tutta onestà questa è una ipotesi molto interessante, ma ancora da dimostrare con assoluta certezza. Che dire di quest'altra ipotesi: la quantità di CO2 sostanzialmente non ha mai subìto cambiamenti particolari; al più è leggermente aumentata. I gas quali l'azoto, l'ossigeno e l'ozono potrebbero essere quelli che avrebbero  risentito di cambiamenti repentini e radicali venendo mineralizzati e/o persi nello spazio. Così l'acqua in parte potrebbe essere stata rimescolata nel suolo congelando e in parte persa nello spazio. Solo alla nascita del pianeta la quantità di CO2 doveva essere elevatissima, quantità che si esaurì fino a proporzioni minime.  

Si suppone che il processo di rarefazione dell'atmosfera procedette inarrestabile provocando, insieme all'estendersi di escursioni termiche diurne e stagionali e all'abbassamento generale della temperatura, l'inasprimento del clima marziano, e l'intrappolamento, congelati nel suolo, dei residui d'acqua e di altri fluidi. Noi supponiamo invece che il processo di rarefazione sia accaduto poche migliaia d anni fa e sia stato rapido e permanente senza processi lenti e intermedi. L'ossigeno si è ben presto disperso nello spazio, ma in gran parte legato le con polveri e altre sostanze ricche di ferro espulse dal mantello o già presenti in superficie.  

All'era Noachiana i planetologi fanno risalire l'attività tettonica di Marte consistita sostanzialmente nella suddivisione della crosta in due grandi "placche", che grandi processi di subduzione avrebbero in seguito dislocato di quota per ben 3000 m, differenziando gli odierni altopiani meridionali dai bassopiani settentrionali. La sutura dei due emisferi avrebbe dato origine all'imponente sistema di faglie e fratture di cui s'è detto, come la Valle Marineris. Noi riteniamo invece che Marte era in tutto simile alla Terra, se pur in scala ridotta, e che la differenziazione tra gli emisferi sia dovuto ad un fenomeno catastrofico che coinvolse l'interno del pianeta e che lo rimodellò facendolo leggermente implodere.

Così, per concludere, è nostro avviso ipotizzare che Marte abbia avuto condizioni climatiche stabili e un'attività tettonica paragonabili alla Terra "pre-Diluviana" . Forse fu una devastante catastrofe planetaria a provocare la dispersione dell'atmosfera, della maggior parte delle acque e del repentino raffreddamento del pianeta. Eventi simili a un tremendo impatto con oggetti di grande massa o, meglio ancora, una fortissima perturbazione gravitazionale prodotta da un corpo di enorme massa, potrebbero aver influito in modo disastroso sul pianeta. 

Ecco una delle numerose controverse immagini del paesaggio marziano odierno: un triste ed esteso deserto morente di sassi e polvere con una rarefatta atmosfera di CO2. Non è ben chiaro se i colori siano a tutti gli effetti veri o sono stati applicati filtri per "evidenziare" qualche particolare peraltro discutibile.

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