L'occhio umano è sensibile solamente alle onde elettromagnetiche con lunghezze d'onda comprese tra 400 ed i 700 nnmt (il cosiddetto "spettro visibile").

Ovviamente, questo intervallo di lunghezze d'onda costituisce una porzione assai piccola dell'intero spettro delle onde elettromagnetiche. Per confronto, possiamo vedere che l'intervallo di sensibilità alla luce in molti animali è notevolmente diverso dal nostro. Per esempio, gli occhi delle api sono sensibili alle lunghezze d'onda nell'intervallo da 300 a 650 nm (anche una porzione dell'ultravioletto vicino) e sono quindi in grado di vedere "colori" a noi sconosciuti. E' di fondamentale importanza premettere che le sostanze o gli oggetti del mondo reale non sono però colorati di per se stessi. I corpi che ci circondano hanno la facoltà di emettere, riflettere o di trasmettere onde elettromagnetiche di diversa lunghezza d'onda e di diversa intensità, tali da stimolare il nostro sistema sensoriale e provocare la visione dei colori.

Adottiamo qui la definizione di colore formulata dal Comitato sulla Colorimetria della Optical Society of America: "Il colore consiste nelle caratteristiche della luce diverse dalle inomogeneità spaziali e temporali; la luce essendo quell'aspetto dell'energia raggiante di cui l'osservatore umano ha conoscenza attraverso la sensazione visiva che nasce dalla stimolazione della retina dell'occhio". Per caratteristiche della luce si intendono tre parametri, che saranno specificati in dettaglio nel seguito, il primo dei quali è connesso alla capacità della luce di provocare la sensazione di luminosità; il secondo e il terzo esprimono invece la sensazione cromatica percepita dal sistema visivo ed espressa dalla lunghezza d'onda dominante e dalla purezza del colore. L'insieme dei tre parametri costituisce ciò che chiamiamo "attributi del colore"

Si dice che un oggetto ha un determinato colore quando, illuminato da una luce considerata bianca (ad esempio la luce del sole) ed osservato in determinate condizioni standard, provoca nell'Osservatore una "percezione cromatica". Qualsiasi luce che non contenga tutte le radiazioni monocromatiche nella proporzione della luce solare è percepita come colorata.

L'occhio umano, illuminato da luce monocromatica di varia lunghezza d'onda, percepisce i seguenti colori:

da 400 a 430 nm: zona del violetto;

da 430 a 490 nm: zona del blu nelle sue seguenti tonalità intermedie:

da 430 a 465 nm : indaco

da 466 a 482 nm : blu

da 483 a 490 nm : blu verdastro

da 491 a 560 nm: zona del verde nelle sue seguenti tonalità intermedie:

da 490 a 498 nm : verde bluastro

da 499 a 530 nm : verde

da 531 a 560 nm : verde giallastro

da 561 a 580 nm: zona del giallo nelle sue seguenti tonalità intermedie:

da 561 a 570 nm : giallo-verde

da 571 a 575 nm : giallo citrino

da 576 a 580 nm : giallo

da 581 a 620 nm: zona dell'arancione nelle sue seguenti tonalità intermedie :

da 581 a 586 nm: arancione giallastro

da 587 a 596 nm : arancione

da 597 a 620 nm : arancione rossastro

da 620 a 700 nm : zona del rosso nelle sue tonalità intermedie:

da 621 a 680 nm : rosso

da 681 a 700 nm : rosso profondo

A questo punto è lecito chiedersi come sia possibile stabilire, in modo sperimentale, che la luce solare effettivamente contenga tutte le lunghezze d'onda che provocano la sensazione cromatica. La risposta è stata data tre secoli fa da Newton con le sue fondamentali esperienze sul fenomeno della cosiddetta "dispersione". Newton scoprì che, quando un raggio di luce solare entra in un prisma di vetro, le componenti cromatiche associate alle lunghezze d'onda subiscono una rifrazione che è diversa per ciascuna di esse. Possiamo notare, infatti, che ogni colore subisce, all'interno del prisma, una deviazione dalla propria direzione di marcia che risulta essere tanto maggiore quanto più piccola è la lunghezza d'onda ad essa associata. Quindi il rosso, che ha la lunghezza d'onda maggiore, è deviato molto meno del violetto.

L'effetto finale di questo fenomeno di dispersione nelle sue componenti cromatiche fondamentali può essere direttamente osservato su di uno schermo posto alle "spalle" del prisma: la luce sarà dispersa, colore per colore, su una certa zona ed è molto interessante vedere come sia possibile ricombinare i colori ottenuti a seguito della dispersione, per tornare alla condizione iniziale di luce bianca. Per ottenere questo effetto basterà porre in prossimità del piano di formazione dello spettro un secondo prisma uguale al primo, ma capovolto. Esso ricomporrà i colori restituendo il fascio iniziale di luce bianca. Sebbene i colori dispersi dal prisma siano virtualmente infiniti - in quanto possiamo pensare di suddividere l'intervallo di lunghezze d'onda tra 400 e 700 nm in intervalli piccoli a piacere - la sensazione visiva per l'occhio può essere ridotta a 6 famiglie di colori principali: violetto, azzurro, verde, giallo, arancione e rosso (detti anche "colori puri" o "spettrali").

L'utilità di queste informazioni è sopratutto inerente alla querelle sugli "almost true colors", concetto legato all'esplorazione spaziale e ai frames che le sonde spaziali ci inviano da molti anni. In particolar modo la diatriba è concentrata su Marte e i suoi colori: la NASA e, in modo minore, l'ESA ci presentano il pianeta perennemente tinto di rosso. Eppure ci sono sufficienti e validi motivi per ritenere che le cose non stiano così.  Con queste semplici nozioni tecniche sulla natura dei colori e sulla propietà che gli oggetti hanno di caratterizzarsi attraverso le onde elettromagnetiche, nonchè tenendo conto della percezione visiva dell'occhio umano, possiamo farci un'idea giò precisa su cosa significa vedere "a colori" e sul "cosa vediamo attraverso i mezzi impiegati per farci pervenire una determinata informazione". 

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