SHINYSTAT © 2004 - 2012 Pianeta Marte.net - All right reserved Fig. 21 Nei primi due capitoli di “Vedere la Vita” ho cercato di spiegare le strutture a guscio che popolano i deserti marziani, mostrando come siano composti prevalentemente da una struttura reticolare esterna relativamente sottile e da una massa fibrosa interna apparentemente caotica. Un aspetto da considerare però è che, come per altro sulla Terra, le specie di forme di vita sono presumibilmente moltissime e ovviamente diverse tra loro. In questa occasione vedremo come siano possibili molteplici varianti, per esempio dalla struttura interna estremamente ordinata. Nel 2005 il rover Opportunity, esplorando Burns Cliff, una zona sottostante l’orlo del cratere Endurance, rinveniva questi blocchi scatolari: I blocchi crollati facevano parte di una struttura che rivestiva interamente le pareti del cratere. Come si vede hanno una sottile “pelle” solida ed un interno finemente stratificato. Come in questa foto di un altro blocco semiribaltato, visibile a sinistra nell’immagine. La brina che si vede sul terreno spiega la natura di questi blocchi, che hanno circa 60/70 cm. di lato. Dato che mediamente la temperatura a mezzogiorno è di 20°C, mentre di notte scende a -80°C, i microorganismi marziani hanno andamento circadiano e sono attivi solo intorno al mezzogiorno, per cui accumulano dei sottili films di ghiaccio sugli straterelli paralleli interni e quando il sole scalda la pelle esterna il ghiaccio si trasforma in acqua liquida. Questo ingegnoso sistema ha poi varianti ecotipiche, visto che in altre zone del pianeta questi blocchi hanno molte varianti, come in questo elemento semiribaltato dalle ruote del rover Spirit nel 2009, a svariate migliaia di Km. dai blocchi precedenti e indicato dalla X nella foto: Con molta fantasia si potrebbero forse attribuire a qualche fenomeno geologico invece che all’attività di forme di vita, ma a chiudere ogni dubbio arriva questa foto del rover Curiosity della settimana scorsa. I blocchi 1,2,3 e 4 come si vede sono perfettamente uguali (notare il frontalino rastremato a 30°). I blocchi A e B sono più vecchi e hanno perso parzialmente la pelle esterna mostrando il solito interno finemente stratificato. In D c’è un blocco più grande (sempre con lo stesso frontalino) con davanti una matassa radiale di fibre semitrasparenti (affioramento delle radici orizzontali che diffondono acqua e nutrienti nel sottosuolo). In C ed E ci sono altre strutture più complesse che non mi pare il caso di spiegare in questa circostanza. Ovviamente la presenza di più strutture complesse distribuite su pochi mq. di superficie esclude del tutto la casualità del fenomeno. Semplicemente queste strutture non sarebbero esistite senza l’intervento di forme di vita. L’ingegnosità del metodo depone poi a favore di un certo livello di coscienza raggiunto da queste colonie presumibilmente simbiotiche. Però non sono queste “casette” che hanno convinto la NASA e gli altri enti spaziali a tacere sulla questione. Il fatto è che nell’arco di milioni di anni questi organismi evolvendosi si sono per così dire “allargati” fino a costruire montagne alte svariate migliaia di metri, sempre con lo stesso metodo. Questo è uno dei miei vaneggiamenti che ho pubblicato la prima volta nel 2004, per spiegare la formazione della “pelle” solida delle casette marziane. Come si vede avevo già evidenziato come questa tecnologia potesse essere stata applicata anche su larga scala e, guarda caso, quest’anno la NASA ha diffuso queste immagini di Mount Sharp, il picco centrale del cratere marziano Gale, all’interno del quale è atterrata la sonda Curiosity. Didascalia NASA: “Fratture cementate sul picco centrale del Gale Crater su Marte -  Un tipo di formazione di notevole interesse scientifico sul picco centrale del cratere Gale è l'esposizione di fratture cementate, a dimostrazione del fatto che l'acqua superficiale sia arrivata almeno una volta al livello della montagna. Questa immagine di quella parte della montagna, presa dal High Resolution Imaging Science Experiment camera del Mars Reconnaissance Orbiter, mostra la simmetria di come il materiale di un lato di ogni frattura sia bilanciato da altro materiale sull'altro lato. Questo modello indica che in passato un minerale saturo d'acqua una volta riempì le fratture. L'acqua depositò minerali su ambo i lati dell'apertura, eventualmente colmando il vuoto tra gli stessi.“ Come si vede, sia l’immagine che la didascalia ripetono esattamente le mie deduzioni. Naturalmente non viene citato il fatto che l’acqua era portata in altura dalle radici sub-superficiali e non dal fatto che secoli fa la montagna era sommersa, perché altrimenti le fonti ufficiali avrebbero dovuto ammettere l’esistenza di forme di vita (quantomeno vegetale). Questo tanto per chiarire che è necessario saper leggere tra le righe dell’informazione ufficiale se non si vuole aspettare 50 anni per saperne qualcosa. Dato che logicamente queste strutture sono ben note ai vari enti spaziali, è ovvio che da tempo l’interesse si è spostato sui meccanismi di generazione, in pratica su come “nascono” e “crescono”. Spesso molti osservatori occasionali, dediti alla ricerca di facce e teschi, non capiscono come mai i vari rovers sembrino esplorare zone di terreno apparentemente prive di interesse. Il motivo è che è proprio nel substrato che bisogna studiare come si formino questi strani gusci. Al riguardo, pur disponendo ovviamente di informazioni infinitamente inferiori a quelle a disposizione della NASA, ho elaborato un’ipotesi che ritengo sufficientemente fondata e meritevole di approfondimenti. Per spiegarla mi servirò di un’altra particolare variante di gusci, quella dei Conoidi. I Conoidi differiscono dai gusci a paraboloide che ho descritto nei primi due capitoli essenzialmente per la curvatura del canale centrale cui sono per così dire “appesi”. In pratica non crescono lungo una curva ma in linea retta, per cui a prima vista possono essere interpretati come piramidi. Vediamone qualche esempio ripreso dai rovers attualmente su Marte, tanto per acquisire il concetto che non sono formazioni casuali. Se pensiamo ai castori e alle loro dighe, possiamo avvicinarci al concetto che ispira le colonie simbiotiche marziane nella costruzione di queste elaborate strutture. Le immagini 3D sono comprensibili solo usando gli occhialini appositi, il Conoide è la struttura pseudopiramidale biancastra al centro delle immagini e ripresa dal rover nell’arco di una settimana. Due settimane prima (Sol 1820) il Conoide era stato fotografato di lato dalla Pancam di Spirit in fase di avvicinamento. I dettagli sono fasulli in quanto le foto Pancam sono afflitte da una più pesante alterazione digitale, ma in questa sede interessa solo la forma e non i particolari superficiali. Nella foto si vede come il Conoide (al centro del riquadro) presenti in corrispondenza della sommità una repentina variazione della direzione di crescita, per altro osservabile in quasi tutte le altre formazioni di questo tipo. Da una prima osservazione si nota che il Conoide ha uno strato esterno bianco granuloso e l'interno fibroso di colore più chiaro nella parte inferiore e più scuro in quella appuntita superiore. In questo schema ho riportato il profilo del Conoide, sempre ricordando che la linea di crescita è da destra a sinistra, per cui il lato aperto (non visibile in questa foto, ma solo in quelle precedenti) è a sinistra. In sintesi quindi l’apertura è arrotondata, ma la linea di crescita è retta e l’interno è formato dalla consueta massa fibrosa apparentemente caotica, che usando parametri irrispettosi potrei definire simile ad avanzi di spaghetti in una pattumiera. Per chi non disponesse di occhialini 3D accludo alcune immagini di altri Conoidi. Queste formazioni sono abbastanza comuni sul suolo marziano e si riconoscono facilmente per la forma a “ferro da stiro”. Lo strato superficiale è sempre spesso 1-2 mm. e l’interno cavo è riempito da masse fibrose, talora fossilizzate e talora no. Ma come fanno le fibre del Conoide a connettersi alle fibre che corrono sotto la superficie che un po’ come le radici delle piante terrestri portano acqua e nutrienti? Una possibile risposta l’ho trovata studiando le forme “giovanili” dei Conoidi. In realtà il termine è improprio, non bisogna dimenticare che parliamo di gusci e che le vere forme di vita sono all’interno ed all’esterno degli stessi. Guardando attentamente questa immagine 3D (specialmente la foto in basso, un po' più definita) si può notare una strana formazione evidenziante alcuni dettagli, che ora riassumo: 1) Forma arrotondata nella parte posteriore e appuntita in quella anteriore. La forma a punta di lancia (lanceolata in termini tecnici) ha fatto sì che per brevità le chiamassi "Lancette". Per ora è conveniente usare questa denominazione provvisoria. 2) Le Lancette mostrano 2 strati sovrapposti, uno biancastro granuloso inferiore ed uno superiore composto di "villi" semitrasparenti orientati a gruppi in varie direzioni, di colore grigio, lievemente sfumato dal chiaro (in coda) allo scuro (in punta). Notare come le Lancette sembrino condividere con i Conoidi lo strato esterno bianco granuloso e l'interno fibroso di colore più chiaro nella parte inferiore e più scuro in quella appuntita superiore. Per trovare però una connessione era indispensabile trovare le forme intermedie che potessero esemplificare 1) come si formassero le Lancette e 2) come le Lancette diventassero Conoidi. Per chiarire il primo punto ho cercato di verificare se i due principali componenti visibili delle Lancette fossero reperibili in altre immagini riprese da Spirit. Mentre le fibre semitrasparenti sono una costante in moltissime immagini, ma sono di non facile interpretazione per via della scarsa visibilità, possiamo spingerci a ipotizzare quale composizione abbia lo strato granulare biancastro. Ne abbiamo visto degli esempi 3D al microscopio di Spirit in Sol 1007: La mia ipotesi iniziale era che, con o senza l'apporto di microorganismi, si trattasse di "croste" composte in parte da sali igroscopici, in grado cioè di catturare e rilasciare acqua in funzione della temperatura, ricalcando in parte un’antica teoria di Arrhenius. In condizioni normali le croste appaiono come nelle foto, ma la mia idea attuale è che esistano forme di vita in grado di filtrare l’acqua ed usarne i sali per costruire le Lancette di cui ho parlato prima. Senza l’apporto di forme di vita poi sarebbe impossibile che le Lancette, sostanzialmente bidimensionali come placche sul terreno, si trasformassero in strutture tridimensionali complesse come i Conoidi. Per chiarire invece il secondo punto, come cioè le Lancette assumessero la forma di Conoidi, ho trovato diversi riscontri in immagini che mostravano delle Lancette in posizione verticale, con la parte arrotondata annegata nel substrato e la parte appuntita libera, apparendo quindi di forma pseudo-triangolare, esattamente come i Conoidi. L’immagine 3D qui a sinistra non è chiarissima, bisogna ricordare che le Lancette misurano pochi centimetri. Comunque nell’immagine di contesto, ripresa da Spirit in Sol 1811, se ne vedono molte altre, a dimostrazione che la presenza di vari Conoidi nella zona non era casuale. Tale circostanza sembra trovare una conferma da questa immagine 3D (visibile qui sotto) di un piccolo Conoide in crescita, proveniente anch'esso dal famigerato Sol 1833 e vicino a quello più grande descritto in precedenza. E’ interessante notare come, analogamente alle Lancette, ci sia anche in questo Conoide una propaggine fibrosa biancastra sporgente nella parte centrale inferiore. Queste propaggini sono con tutta probabilità responsabili del posizionamento verticale delle Lancette nel momento in cui affondano nel terreno per raggiungere le radici sub-superficiali e quindi l’acqua. Prendiamo ora in esame una Lancetta verticale, questa volta di Sol 10 e quindi nelle immediate vicinanze dell'area di landing. Questa Lancetta è interessante per vari motivi e quindi è utile avere la pazienza di guardarla in 3D piuttosto analiticamente. Personalmente trovo interessante questo: 1) Dai villi grigi esce una propaggine centrale biancastra, esattamente come in molte altre Lancette verticali operative (o "vive" se preferite) 2) Questa Lancetta è più matura, in quanto guardando ai lati dei villi scuri si possono vedere 2 "alette" più chiare, granulose ai bordi e ripiegate in avanti. Questo passaggio è essenziale per confermare la validità dell’ipotesi che la Lancetta sia una forma giovanile del Conoide (e probabilmente di tutti gli altri gusci derivati dal Conoide per crescita lungo l'asse longitudinale). Altro aspetto interessante dei Conoidi e delle altre forme che ho descritto è la presenza in aree molto distanti tra loro, in quanto presenti in foto riprese sia da Spirit e Opportunity che da Curiosity. Tutte le varianti ecotipiche sono quindi di dettaglio, mentre le forme sono sostanzialmente invarianti. Naturalmente la ricerca è in divenire sia per me che per la NASA, per cui ogni giorno emergono nuovi elementi, ma per ora questo quadro di riferimento trova continue conferme e, in assenza di opinioni ufficiali, mi pare possa fornire qualche adeguato spunto per futuri approfondimenti. Naturalmente, come ho spiegato all’inizio, queste colonie non sembrano avere limiti di scala, per cui non deve stupire l’esistenza di giganteschi Conoidi scambiati per montagne a forma di piramidi. E’ sufficiente che in un determinato periodo una zona fosse ricca di risorse idriche sotterranee per favorire l’accumulo stratificato di queste formazioni fino a raggiungere dimensioni impensabili per il metro terrestre, a meno naturalmente che non ci si ricordi degli atolli e dei polipi del corallo. ARGOMENTI CORRELATI VEDERE LA VITA - Prima Parte VEDERE LA VITA - Seconda Parte LA MATRICE BIOGENICA DI MARTE - Prima Parte LA MATRICE BIOGENICA DI MARTE - Seconda Parte